La vicenda iniziò a dicembre 2014, quando la società di trasporto trentina raggiunse un accordo con i sindacati confederali per mettere in cassa integrazione per cinque mesi e poi licenziare 49 autisti, sostenendo che aveva necessità di ridurre il personale per una riduzione del fatturato di 40 milioni dal 2009 al 2012. I dipendenti hanno però presentato ricorso, sostenuti dai sindacati autonomi Sbm e Confederazione Cobas. A maggio 2016 è iniziata la causa e si è conclusa il 12 gennaio 2018 con la lettura delle sentenza.
Durante la causa, il giudice Michele Cuccaro ha nominato un consulente tecnico per analizzare la situazione economica dell'azienda con lo scopo di verificare le dichiarazioni aziendali. Le sue conclusioni sono riportate nella sentenza: dal 2009 al 2012, scrive il giudice, l'azienda ha registrato "una significativa crescita del fatturato", mentre il risultato finale negativo si rileva solo nel 2009 e 2010. Inoltre, "i dati relativi ad una perdita di quasi 800mila euro della BU FTL al giugno 2014 e ad una perdita gestionale di 2,5 milioni della BU FTL 2014 trovano riscontro unicamente in documenti aziendali interni inizialmente non prodotti, non verificabili in modo oggettivo da parte di soggetti esterni all'azienda o attraverso il confronto con il bilancio civilistico e, per di più, riportanti dati riferibili anche alle società trazioniste slovacca, polacca e rumena".
Il giudice ha quindi ritenuto illegittima la procedura di mobilità firmata dall'azienda e dai sindacati confederali e ha condannato Arcese Trasporti a risarcire ogni autista licenziato con venti mesi di mensilità, oltre a pagare le spese della perizia tecnica e della causa. Però, il giudice non ha imposto la loro reintegrazione, come avevano chiesto i ricorrenti, a causa della Legge Fornero. Per tale motivo, gli avvocati degli autisti hanno annunciato un ricorso in Appello.
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