La vicenda che ha causato il ricorso in Cassazione è iniziata nel porto di Bari con un controllo svolto su un camion dell'albanese Trans-Speed, appena sbarcato da un traghetto proveniente dall'Albania, che trasportava 1083 cartoni contenenti calzature, suole e tomaie spediti dalla Filanto Albania alla Filanto italiana. Dal controllo emerse che l'autorizzazione al trasporto internazionale era contraffatta. Quindi iniziò la consueta procedura che prevede, oltre che le sanzioni amministrative, anche il sequestro della merce e la seguente confisca, perché il Prefetto ritenne corresponsabile l'impresa calzaturiera italiana.
In seguito, la Filanto ha avviato ricorso in Appello, che ha perso, e quindi in Cassazione, affermando che non sussiste la propria corresponsabilità nel trasporto abusivo perché era stato commissionato dalla Filanto Albania e quindi non poteva verificare la regolarità dell'autotrasportatore. I giudici di Cassazione hanno confermato questa interpretazione, annullando così la conferma della confisca decisa dalla Corte d'Appello.
Nell'ordinanza, i giudici di Cassazione scrivono che "in relazione alla diversità dei ruoli esercitati nella filiera del trasporto internazionale e all'individuazione delle condotte in concreto esigibili (..) non poteva ritenersi che fosse esigibile, da parte della Filanto Spa (quale proprietaria e destinataria della merce) una diligenza così incisiva fino a potersi da essa pretendere di dover controllare la regolarità del documento di trasporto usato dal vettore albanese al momento della partenza dall'estero, la cui attività di trasporto per il trasferimento del carico in Italia era stata commissionata direttamente da una società estera con apposita convenzione formale a una ditta di autotrasporti che era regolarmente iscritta all'Albo nazionale dei trasportatori in conto terzi in Albania".
L'ordinanza prosegue affermando che la Filanto (italiana) non aveva l'onere di controllare "ex ante" le modalità operative dell'esercizio del trasporto internazionale "emergendo, in via ordinaria, l'estraneità del proprietario della merce rispetto alla violazione imputabile al vettore (a al limite al diretto committente in concorso) in ordine all'utilizzazione di titolo di trasporto poi rivelatosi contraffatto".
Citando il comma 2 dell'articolo 7 della Legge 286/2005 (che stabilisce la corresponsabilità del committente nell'autotrasporto), i giudici spiegano che "non pone a carico del proprietario della merce, del committente del trasporto e del vettore una (reciproca) responsabilità per fatto altrui, poiché essi – in dipendenza del rispettivo ruolo svolto e degli specifici obblighi di vigilanza loro incombenti – rispondono ciascuno per fatto proprio, sicché la relativa responsabilità resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa (..), principi ai quali il legislatore non ha inteso derogare anche nella speciale materia della disciplina degli autotrasporti".
L'ordinanza conclude che "deve essere enunciato il principio secondo cui la sanzione accessoria della confisca non può – in difetto della sussistenza dell'elemento soggettivo (almeno) della colpa – essere considerata legittima ove applicata al proprietario della merce (destinatario, in via generale, di tale misura accessoria, ove prevista obbligatoriamente) nei cui confronti non sia emerso che abbia partecipato all'affidamento del trasporto al vettore abusivo o che si sia comportato in modo specificatamente negligente rispetto all'accertamento della regolarità del trasportatore (non essendo, tuttavia, esigibile tale obbligo di vigilanza, da parte dello stesso, fino al punto di dover – per la sua qualità – provvedere anche all'accertamento del possesso, da parte dell'autotrasportatore, delle prescritte autorizzazioni).
ORDINANZA CORTE CASSAZIONE 4866 DEL 1/3/2018
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