La vicenda che ha portato alla sentenza della Corte Europea del 7 marzo 2018 risale al 2001, quando la Commissione Europea autorizzò lo Stato francese ha finanziare la Sernam con 503 milioni, una società controllata interamente dalla compagnia ferroviaria statale Sncf che svolgeva il trasporto espresso di pacchi e pallet. Questa prima decisione, denominata Sernam 1, prevedeva alcune condizioni che non vennero rispettate. Non solo, ma poi vennero stanziati altri 41 milioni per Sernam. Quindi, nel 2004, la Commissione adottò la decisione Sernam 2, che imponeva il recupero dei 41 milioni, autorizzando ancora i 503 milioni, ma ponendo nuove condizioni.
Questa seconda decisione offriva la scelta tra ritirare la Sernam dal trasporto su strada, oppure cedere tutti gli asset entro il 30 giugno 2005 a prezzo di mercato a una società che non avesse alcun legame giuridico con Sncf e con procedure trasparenti e aperte. Il Governo francese scelse la seconda possibilità annunciando la cessione di Sernam a una nuova società, denominata Financière Sernam. Ma la Commissione Europea, anche in seguito a diverse denunce, accertò che nessuna delle due imposizioni era stata rispettata: né la restituzione di 41 milioni, né la cessione in blocco di Sernam, quindi dichiarò illegittimi tutti gli aiuti ricevuti dalla società perché incompatibili con il mercato interno. Quindi, il 12 marzo 2012 la Commissione impose Financière Sernam (attualmente in liquidazione) la restituzione di 642 milioni allo Stato e Sncf (che dovrebbe pagare la somma) presentò ricorso al Tribunale dell'Unione europea, chiedendo l'annullamento della decisione.
Il 17 dicembre 2105, il Tribunale respinse tale ricorso, quindi la società ferroviaria presentò un altro ricorso alla Corte di Giustizia Europea. Il 7 marzo 2018, la Corte ha respinto il ricorso, condannando così definitivamente la Sncf alla restituzione dell'intera somma. In particolare, la Corte conferma che la decisione Sernam 2 aveva lo scopo di sopprimere la presenza della Sernam sul mercato caratterizzato da un eccesso di capacità, per prevenire qualsiasi distorsione di concorrenza correlata alla concessione dell'aiuto alla ristrutturazione pari a 503 milioni, esigendo l'acquisto delle attività su strada della Sernam da parte di altre imprese e la diversificazione delle attività della Sernam verso il trasporto merci ferroviario.
Quindi, i giudici ritengono che il Tribunale dell'Unione Europea abbia correttamente concluso che la finalità della vendita degli attivi in blocco della Sernam prevista nella decisione Sernam 2 mirava a interrompere l'attività economica della Sernam e a far scomparire quest'ultima. La Corte conferma anche che la condizione relativa alla vendita degli attivi in blocco della Sernam, prevista dalla decisione Sernam 2, deve intendersi nel senso che rimangono esclusi i passivi, cosicché il Tribunale ha correttamente concluso che tale condizione non era stata rispettata, dato che la vendita realizzata aveva riguardato anche la quasi totalità dei passivi della Sernam.
Allo stesso modo, il Tribunale e la Commissione hanno correttamente concluso affermando la continuità economica tra la Sernam e la Financière Sernam per il tramite della Sernam Xpress. Infatti, la Sernam Xpress era la debitrice dell'obbligo di recupero dell'aiuto illegittimo, obbligo che è stato trasmesso infine alla Financière Sernam in ragione della sua fusione con la Sernam Xpress. Infine, la Corte conferma che il test dell'investitore privato non è applicabile alla messa in atto di una misura compensativa. Infatti, la logica compensativa della vendita degli attivi in blocco della Sernam, prevista dalla decisione Sernam 2, è differente dalla logica di un operatore privato intenzionato a massimizzare i propri profitti o, nel caso di specie, a minimizzare le proprie perdite.
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