Dopo un lungo braccio di ferro che ha paralizzato il Brasile per dieci giorni, gli autotrasportatori brasiliani hanno ottenuto il taglio delle imposte sul gasolio di 46 centesimi di reais (pari a circa dieci centesimi di euro). Nonostante il pesanti disagi, secondo l'agenzia di stampa Nova un sondaggio della Datafolha mostra che l'87% dei brasiliani ha appoggiato il fermo degli autotrasportatori, anche se una percentuale minore, il 56%, riteneva che dovesse continuare. Ora però i brasiliani dovranno pagare il prezzo delle concessioni agli autotrasportatori, stimato in 13,5 miliardi di reais, pari a circa tre miliardi di euro, considerando solo i sussidi ottenuti e la riduzione delle imposte sul gasolio. Il conto però aumenta se si prendono in considerazione anche i danni subiti dall'industria e dal commercio estero. Il presidente Tamer ha già annunciato più imposte in altri comparti e tagli ad alcuni servizi pubblici.
Il fermo dell'autotrasporto inizia il 21 maggio, scatenato dal forte aumento del prezzo del gasolio, con blocchi stradali in diciassette Stati brasiliani. Gli autotrasportatori erano esasperati da aumenti del carburante quotidiani, causati dall'incremento del prezzo del petrolio e dell'imposizione fiscale. La principale associazione che indice il fermo è l'Abcam, Asociación Brasileña de Camioneros, poi seguita da altre sigle. La protesta dilaga velocemente, grazie anche ai social network e il giorno dopo raggiunge già 24 Stati e l'industria subisce il rallentamento della produzione. Al terzo giorno, la compagnia petrolifera di Stato, Petrobras, annuncia una riduzione del prezzo del gasolio del dieci percento per quindici giorni, una misura ritenuta insufficiente dagli autotrasportatori.
Il 24 maggio, il fermo comincia a creare seri problemi alla popolazione, con la mancanza di carburante che colpisce non solo gli autoveicoli privati ma anche il trasporto pubblico e quello aereo, fondamentale anche per muoversi all'interno del Brasile. Intanto, le rivendicazioni diventano anche politiche e i manifestanti chiedono le dimissioni del presidente, invocando perfino un intervento dei militari. Durante la trattativa, Tamer accetta dodici richieste degli autotrasportatori, compresa la diminuzione del prezzo del gasolio e alcune sigle decidono di sospendere il fermo. Ma l'Abcam resiste e restano oltre mille blocchi stradali.
Il 25 maggio, il presidente annuncia la mobilitazione dell'esercito per assicurare il rifornimento di carburante sciogliendo i blocchi stradali e istituendo multe elevate per chi organizza e svolge i presidi. Questo intervento riesce parzialmente, ma sblocca la vertenza, perché il 27 maggio l'Abcam firma un accordo e chiede ai manifestanti di riprendere il lavoro. In molti, tuttavia, restano al loro posto. Il 29 maggio maggio si registrano ancora 616 presidi sulle strade, anche se solo pochi bloccano completamente il traffico. Il giorno successivo, esercito e polizia sciolgono quasi tutti i presidi e il fermo viene definitamente dichiarato terminato.
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