La nuova linea ferroviaria Torino-Lione è uno di quegli argomenti che dividono nettamente le opinioni: da una parte i No Tav pronti alle barricate, dall’altra i sostenitori, alcuni consapevoli, altri forse per semplice scelta di campo. I detrattori hanno facile terreno partendo da una valutazione acritica dei numeri, dall’altro l’adesione favorevole solo con spirito da tifoseria rischia di essere poco costruttiva. Nel disinteresse quasi generale della politica, scendono in campo le forze economiche e imprenditoriali.
Confindustria Lombardia e Confindustria Piemonte insieme ad Assologistica a luglio 2020 hanno creato un gruppo di lavoro per proporre interventi, da qui alla data dell’attivazione del tunnel di base, per rafforzare la competitività del trasporto ferroviario intermodale nelle relazioni Italia-Francia e porre già le condizioni per sfruttare al meglio la capacità della nuova linea quando sarà disponibile, secondo previsioni, nel 2030. La scelta degli imprenditori piemontesi e lombardi ricalca un’analoga esperienza, ormai ampiamente consolidata, che riguarda l’itinerario del Brennero.
Nell’interscambio Italia-Francia l’intermodalità è relegata a una quota del tutto marginale rispetto agli altri valichi, in particolare quello con la Svizzera, ma senza trascurare i risultati raggiunti anche con l’Austria. I limiti dell’attuale infrastruttura del Frejus pregiudicano la competitività della ferrovia. Occorre quindi superare queste carenze con una terapia adeguata. Quattro gli interventi suggeriti. In sintesi: un incentivo extra, analogo al Ferrobonus, per compensare i maggiori costi legati all’inadeguatezza della linea; finanziamenti, anche attraverso il ricorso a fondi europei, per dotarsi di locomotive interoperabili; sostegno economico per l’acquisto di carri merci di ultima generazione specifici per il trasporto di unità intermodali. E per finire, potenziare o realizzare nuovi terminali nel nord ovest italiano e nell’area di Lione in Francia.
Ma se queste sono iniziative a più lungo termine, altri interventi a carattere gestionale possono essere messi in atto fin da subito. Si tratta di pianificare le tracce dei treni in modo integrato con l’operatività dei terminal di arrivo e partenza, specializzare le tracce ferroviarie per i treni con merce pericolosa, monitorare i convogli mettendo in rete le sale controllo delle imprese ferroviarie, i terminal e il gestore dell’infrastruttura. L’obiettivo è quello di dare vita a un Corridoio ferroviario merci Mediterraneo.
L’iniziativa confindustriale colma un vuoto nella politica, divisa tra pro e contro, ma finora mai propositiva. A differenza di un’esperienza ormai consolidata, quale quella della Comunità d’azione ferrovia del Brennero (CAB), un punto d’incontro tra le Province, i Länder e le Camere di commercio di Verona, Trento, Bolzano, Tirolo e Baviera. Con un’azione costante che prosegue da quasi trent’anni, essendo stata costituita nel 1991, la CAB promuove azioni mirate in Italia, Austria e Germania e presso le istituzioni europee per il potenziamento della ferrovia e il miglioramento del traffico ferroviario sulla linea esistente tra Monaco e Verona in attesa dei nuovi tunnel.
Questa forte collaborazione territoriale ha fatto sì che non nascessero movimenti di protesta o antagonisti. E non a caso in questo terreno fertile si inserisce la decisione di Autobrennero, unica nel suo genere tra le concessionarie autostradali, di dar vita a un Fondo ferrovia per finanziare gli interventi infrastrutturali lungo il corridoio. Previsto dalla Legge finanziaria 1997, il fondo ha consentito finora di accantonare 722 milioni di euro da destinare alle future tratte italiane della ferrovia.
Piermario Curti Sacchi