Il 24 maggio 2022 la Guardia di Finanza ha sequestrato beni, liquidi e quote societarie per un valore totale di 42 milioni di euro come risultato di un’indagine svolta dalla Procura di Parma nei confronti di cinque società operanti nella logistica. L’inchiesta è partita da due incidenti sul lavoro in magazzini parmensi di una delle società coinvolte, di cui gli inquirenti non forniscono il nome, affermando solo che è “di primaria importanza, per volume di affari ed operatività sul territorio”. L’indagine su questi incidenti, avvenuti a dipendenti d’imprese o cooperative diverse dalla società che gestiva la piattaforma, ha rivelato diverse infrazioni alle norme sulla sicurezza sul lavoro, ma ha anche svelato un sistema di subappalti che ha spinto a un approfondimento anche economico.
In questo filone, i Finanzieri hanno individuato diversi contratti di appalto e subappalto interni al gruppo di cui la società di logistica è capofila (secondo l'edizione di Parma di Repubblica sarebbe la Number 1 Logistics Group), “mediante l’interposizione di altre società appartenenti al gruppo stesso, nonché la coincidenza dei dirigenti delle varie realtà aziendali di riferimento”, come spiega il Procuratore Alfonso D’Avino. È iniziata così la ricostruzione dei rapporti commerciali e societari tra le imprese coinvolte, per verificare la regolarità dei contratti d’appalto di manodopera. Ne è emerso un “meccanismo fraudolento che sarebbe stato realizzato dalla capogruppo con il ricorso a numerosi contratti d’appalto non genuini”.
Gli inquirenti spiegano che la capogruppo decideva le assunzioni, l’impiego, l’organizzazione e la retribuzione dei lavoratori delle diverse imprese appaltatrici e queste ultime “operavano in modo promiscuo presso le medesime sedi operative”, dimostrando quindi “una regia unica effettiva”. Nello stesso tempo, “le imprese appaltatrici sarebbero rimaste prive di autonomia nella gestione ordinaria dei rapporti contrattuali e finanziari con i propri fornitori (ad esempio di carrelli elevatori e abbigliamento da lavoro)”.
Infine, la capogruppo determinava anche le tariffe da pagare alle imprese appaltatrici, “ricorrendo a un collaudato sistema di conguagli che, in realtà, sarebbero serviti a compensare a fine anno (e dunque a posteriori) eventuali ulteriori costi non preventivati e a redistribuire i margini a cascata sulle consociate”. Questo meccanismo “elimina qualsiasi rischio d’impresa in capo alle società appaltatrici, così portandole, quantomeno, in una situazione di pareggio costi/ricavi”. Sono importi di centinaia di migliaia di euro, giustificati con motivazioni diverse.
L’ingerenza della società capofila avveniva tramite l’inserimento nelle consociate di persone di fiducia con incarichi dirigenziali e tramite la realizzazione “formale” di una rete d’impresa dove tutte le decisioni erano prese dalla capogruppo. Tra le consociate ci sono anche tre cooperative di produzione e lavoro che “in base a quanto emerso dalle indagini, sarebbero di fatto prive dei requisiti mutualistici ma, in virtù della veste formale loro attribuita di società cooperativa, hanno in taluni casi beneficiato di un regime fiscale agevolato sul reddito prodotto di cui non avrebbe potuto usufruire la capogruppo, trattandosi di impresa commerciale”.
Questo complesso meccanismo avrebbe prodotto vantaggi fiscali per la capogruppo sotto forma di detrazioni dell’Iva delle fatture ricevute dagli appaltatori per diversi milioni l’anno, costi per servizi deducili ai fini Irap e trasferimento del debito Iva alle società appaltatrici. A queste ultime, la Procura contesta un omesso versamento dell’Iva dal 2017 al 2019 per 16.451.781 euro. Oltre all’evasione fiscale, ciò comporta un vantaggio competitivo per la capogruppo, che può offrire tariffe più basse rispetto ai concorrenti.
Il conto finale mostra un’evasione dell’Iva per 36.238.821 euro, a fronte di fatture soggettivamente inesistenti di importo totale pari a 164.733.880,35 euro, omessi versamenti dell’Iva per 16.451.781 euro e omessa dichiarazione dell’Iva per 303.059 euro. Cifre che giustificano il sequestro preventivo per 41.988.089 euro. Ci sono poi aspetti penali legati all’evasione, alla responsabilità amministrativa delle società e agli infortuni sul lavoro. Per questi ultimi, la Procura ha contestato lesioni colpose.
Il Procuratore sottolinea il nesso tra la frode fiscale e la scarsa attenzione posta alle norme anti-infortunistiche, che lo porta anche alla nomina di un amministratore giudiziario per assicurare la continuità operativa delle imprese coinvolte. Egli aggiunge anche che questa è “l’ulteriore dimostrazione - che sembra cogliersi dall’esito degli accertamenti - di una prassi operativa ormai diffusa sul territorio di questa Provincia che, mediante il ricorso alla frode fiscale e a meccanismi di appalto di dubbia correttezza, consente evidentemente alle imprese che appaiono farvi ricorso una maggiore competitività rispetto ad altre imprese che, al contrario, si pongono in maniera più corretta sul mercato”.