La mattina del 13 giugno si è diffusa in tutti i media del mondo la notizia che la Kokuka Courageous, carica di metanolo e in rotta verso Singapore, e la Front Altair, carica di nafta e diretta a Taiwan, hanno preso fuoco dopo alcune esplosioni. Gli incendi sono scaturiti nel Golfo dell'Oman, vico allo Stretto di Hormuz, uno dei bracci di mare più trafficati, soprattutto da petroliere e portacontainer, e strategici del mondo. È una zona molto calda, a causa non solo della posizione strategica nella navigazione commerciale, ma anche della frizione tra Arabia Saudita e Iran, che sta causando una feroce guerra civile nel vicino Yemen.
Le navi hanno inviato la richiesta di soccorso alle 6:12 e alle 7.00 di stamane. Le prime informazioni affermano che le esplosioni potrebbero essere causate da armi, forse siluri o mine, ma per ora nulla è sicuro, anche se sarebbe una strana coincidenza una causa interna avvenuta nello stesso posto e nello stesso tempo a due navi. Inoltre, questo non è il primo attacco a cargo in quella regione: il 12 maggio vennero danneggiate quattro navi, probabilmente a causa di mine. Subito dopo la notizia dei due incendi il prezzo del petrolio è aumentato del 4% e il Brent ha raggiunto i 62 dollari al barile. Nulla in confronto a quello che potrebbe accadere nel caso di un conflitto. Nel pomeriggio, il quotidiano britannico Telegraph scrive che la Front Altair, con bandiera norvegese, sarebbe stata colpita da un siluro. Gli equipaggi di entrambe le navi sono stati salvati da unità iraniane e militari statunitensi.
Sul fatto è intervenuto anche Paolo D'Amico, in qualità di presidente dell'associazione degli armatori petroliferi International Association of Independent Tanker Owners, dichiarando di essere preoccupato della situazione dell'area: "Il rifornimento dell'intero Occidente potrebbe essere a rischio e sono molto preoccupato sulla sicurezza degli equipaggi che attraversano lo Stretto di Hormuz".
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