Sono passati oltre trent’anni dall’incendio del traghetto Moby Prince (allora gestito da Navarma) avvenuto alle 22.03 del 10 aprile 1991. La nave era appena uscita dal porto di Livorno per raggiungere Olbia, quando investì la petroliera Agip Abruzzo, che era all’ancora. Le fiamme uccisero 140 passeggeri del traghetto, lasciando un solo superstite. Da allora questo naufragio fu definito un mistero, perché non c’erano condizioni ambientali tali da spiegare la collisione tra le navi. Per indagare sull’incidente sono state istituite anche due Commissioni parlamentari e il 15 settembre 2022 la seconda ha esposto le sue conclusioni, che mostrano uno scenario finora inedito.
Secondo la relazione della Commissione, la rotta della Moby Prince sarebbe stata tagliata da un’altra nave (s’ipotizza un peschereccio d’altura somalo trasformato in cargo), costringendo il traghetto a una brusca virata che lo condusse contro la petroliera. Secondo l’inchiesta, quest’ultima sarebbe stata ancorata in posizione irregolare, con le luci spente e avvolta in una nuvola di vapore acqueo provocata da un’avaria. La commissione esclude le principali ipotesi precedenti, ossia un’esplosione all’interno del traghetto, l’imperizia o la distrazione dell’equipaggio o un’avaria al timone.
La dimostrazione di quest’ultima ricostruzione viene dagli ingeneri della società d’ingegneria navale genovese Cetena, che ha analizzato tutti i dati in possesso della Commissione, le condizioni meteo della giornata e le posizioni delle navi davanti a Livorno. Informazioni che però non identificano la nave che avrebbe costretto la Moby Prince alla virata. S’ipotizza che sia l’ex peschereccio d’altura 21 Oktoobar II, con bandiera somala e di proprietà della Shifco di Mogadiscio.
Questa imbarcazione venne trasformata in cargo e apparve anche in un’indagine sul trasporto illegale di armi da guerra. La Commissione ha verificato che questa nave era a Livorno il giorno del disastro per lavori di riparazione per danni causati da una collisione con un’altra nave dello stesso armatore, la Cusmaan Geedi. Quindi si entra nel campo delle ipotesi e una di queste sarebbe che questa collisione non sarebbe mai avvenuta, ma sarebbe un pretesto per approdare a Livorno.
Resta comunque aperta l’ipotesi di altre imbarcazioni, tra cui quella che da tempo mostra una o più bettoline, di cui il comandante della Moby Prince segnalò la presenza poco prima dell’impatto con la petroliera. Questa ipotesi coinvolge attivamente la petroliera dell’Eni, perché sostiene che tali bettoline potrebbero avere avuto una relazione con petroliera. A tale proposito, la Commissione scrive che il comportamento dell’Eni è “connotato di forte opacità”.
Una “opacità” che riguarderebbe l’effettiva provenienza della petroliera, il carico e le attività svolte in rada a Livorno. Non è neppure chiaro perché la nave fosse ancorata in posizione irregolare e avesse le luci spente. “Non siamo riusciti ad avere da Eni il fascicolo dell’indagine interna dell’incidente che certamente darebbe altri elementi decisivi”, ha dichiarato il presidente della Commissione, Andrea Romano.
La Commissione ha rilevato gravi inadempienze anche nei soccorsi. Però la conclusione della Legislatura scioglie la Commissione, che quindi non potrà proseguire nell’indagine per identificare la terza nave. ma la Procura di Livorno ha riaperto la sua inchiesta sul disastro e potrà usare il materiale parlamentare. Sempre che riesca a superare la “cortina di falsità che ha impedito di arrivare alla verità”, come la ha definita Romano. Verità che “era molto chiara e poteva essere accertata molti anni fa se non addirittura nell’immediatezza”.