L'annunciata fusione per incorporazione di Moby in Tirrenia-Compagnia Italiana di Navigazione ha ricevuto nei giorni scorsi l'approvazione dall'assemblea degli azionisti della balena blu ma potrebbe richiedere tempo prima di concludersi, se effettivamente verrà portata a termine. Mauro Pili, leader del movimento politico sardo Unidos, che da tempo combatte una battaglia contro i 73 milioni di euro che lo Stato ogni anno versa a Tirrenia Cin come contributi pubblici per garantire la continuità territoriale, ha affermato che "l'Antitrust ha inviato al ministero dei Trasporti una copiosa richiesta di chiarimenti sulla vicenda fusione" e questa circostanza non è stata smentita né del dicastero romano né dall'Agcm. Dal ministero guidato da Danilo Toninelli fanno sapere che "il dossier è allo studio".
Non solo: Pili ha aggiunto che i commissari liquidatori della Tirrenia in amministrazione straordinaria (la bad company scorporata al momento della vendita dell'ex compagnia pubblica passata a Moby nel 2012) starebbero valutando l'esigenza di impugnare questa fusione "perché verrebbe meno la garanzia originaria dei 180 milioni di euro, il debito (per l'acquisto della società, ndr) ancora non pagato. I commissari se non lo facessero rischierebbero in solido".
Una circostanza, anche questa, che appare più che probabile. Una fonte molto vicina proprio ai commissari conferma infatti che, "nella misura in cui la fusione tra Moby e Cin possa essere considerata di pregiudizio per i creditori dell'amministrazione straordinaria di Tirrenia, e comunque disallineata rispetto agli impegni a suo tempo assunti dall'acquirente del compendio, è lecito supporre che qualche iniziativa verrà assunta". Secondo Pili, questo reverse merger non può avvenire perché la convenzione pubblica impone "l'obbligo di una contabilità autonoma e separata" e se questa operazione andasse in porto le navi acquisite dall'ex compagnia pubblica finirebbero sotto lo stesso cappello di Moby.
Nicola Capuzzo
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