Nel 2014 l'insolvenza dell'Ilva portò il colosso della siderurgia in amministrazione controllata, lasciando i finanziatori e i fornitori con un credito di quasi quattro miliardi di euro. Tra questi ci sono oltre un centinaio d'imprese di autotrasporto, molte delle quali lavoravano in modo esclusivo o prevalente con la società siderurgica e che vantano complessivamente un credito di sessanta milioni di euro. Dopo il commissariamento, siccome gli autotrasportatori sono necessari a proseguire l'attività, i commissari chiesero loro di proseguire il lavoro, in cambio di due cose: il loro riconoscimento come creditori pre-deducibili (che quindi possono ottenere un rimborso del credito prima dei chirografari) e il pagamento dei nuovi trasporti entro trenta giorni.
A quasi tre anni da questo accordo, sancito nella Legge sul salvataggio dell'Ilva del 2015, possiamo affermare che entrambe le promesse sono state tradite. Infatti, gli autotrasportatori devono ancora ricevere l'intero credito di sessanta milioni, perché nell'estate del 2017 i giudici fallimentari del Tribunale di Milano che seguono questa vicenda hanno stabilito che gli autotrasportatori sono chirografari e non pre-deducibili. Immediatamente è iniziata una protesta nazionale che ha portato all'inserimento nel decreto Mezzogiorno di un articolo che ribadisce chiaramente la condizione di pre-deducibilità dell'autotrasporto.
La questione sembrava così chiusa ma, come spiega a TrasportoEuropa Giuseppina Mussetola, segretaria provinciale della Fai di Brescia che segue la vicenda con il vice-presidente nazionale Gianni Satini, a settembre il Tribunale ha inviato una lettera agli autotrasportatori creditori, riaffermando che sono chirografari: "Nonostante il Decreto Mezzogiorno, il Tribunale di Milano è andato avanti sulla sua strada. Quindi abbiamo indicato agli autotrasportatori di presentare immediatamente un ricorso contro questa comunicazione, citando sia la Legge sull'Ilva, sia il decreto Mezzogiorno". Ora pare che i giudici intendano nominare una commissione per valutare lo stato degli autotrasportatori.
"Ciò causerà un'ulteriore perdita di tempo per il rimborso del debito", aggiunge Mussetola. "Dal 2014 a oggi sono fallite già diverse imprese di autotrasporto e di spedizioni proprio per non avere ricevuto i pagamenti pregressi dall'Ilva. La situazione si è poi aggravata perché sono state tolte anche le sospensioni dei pagamenti fiscali concesse ai fornitori dopo l'insolvenza per evitare che fallissero a loro volta". In tale situazione resta l'incognita della vendita dell'Ilva al colosso indiano Arcelor Mital, che a sua volta è al centro di una complessa vicenda giudiziaria. Senza i soldi indiani, è difficile che gli autotrasportatori ricevano quanto è loro dovuto.
La seconda promessa tradita riguarda i tempi di pagamento dei servizi di autotrasporto svolti dopo il commissariamento, come denuncia Mussetola: "L'intesa iniziale affermava che i nuovi trasporti sarebbero stati pagati entro trenta giorni e all'inizio fu così. Poi i tempi si sono progressivamente allungati a 60 e 90 giorni e oggi in alcuni casi toccano i cento giorni". Una situazione che può rimettere in crisi gli autotrasportatori, che devono pagare gran parte dei loro fornitori in tempi molto più brevi.
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