L'ingresso del private equity nello shipping sembra non avere avuto solo riflessi negativi (sotto forma di eccesso di nuovi ordini ai cantieri navali), come qualcuno sostiene, ma ha anche contribuito a rendere più trasparenti le società armatoriali a tradizione famigliare, contribuendo a innescare il ritorno degli istituti di credito attivi nel settore.
Di questo è convinto Holger Janssen, vertice del desk shipping di Unicredit basato ad Amburgo, che definisce il lavoro svolto dal private equity nel settore "razionale e professionale: un bene per l'industria nel suo complesso". Dal 2011, Unicredit ha dimezzato la sua esposizione nel business navale riducendola a meno di 5 miliardi di euro (5,7 miliardi di dollari) ma, nonostante sia ancora alle prese con molte ristrutturazioni, da quest'anno l'istituto guidato da Federico Ghizzoni tornerà a erogare finanziamenti. "Non abbiamo in previsione di tornare sul mercato con un approccio aggressivo, ma intendiamo reinvestire circa un miliardo di euro ricavato dai rientri richiesti su alcuni finanziamenti, ha spiegato Janssen ricordando che normalmente l'istituto milanese concede prestiti agli armatori con tagli compresi fra 20 e 100 milioni di euro su ogni operazione.
Il numero uno del desk shipping di Unicredit ha ricordato, citando le rilevazioni emerse all'ultimo Marine Money, che i fondi di private equity l'anno scorso hanno dimezzato i loro investimenti nello shipping (erano stati pari a 7,2 miliardi di dollari nel 2013) imparando sulla propria pelle quanto imprevedibili possano essere i cicli dello shipping, che non consentono un ritorno nel giro di 3-5 anni sulle operazioni avviate.
"L'attenzione del private equity si sta spostando verso il finanziamento di piani d'investimento e di rinnovamento delle flotte di società armatoriali (invece che di singoli asset navali, ndr) e in quel segmento di mercato sono attive anche le banche tradizionali", ha rilevato Holger Janssen, che poi ha aggiunto: "La combinazione di equity da una parte e investitore industriale dall'altra normalmente funziona se c'è anche la leva finanziaria del credito bancario". Sembra dunque di capire che in futuro private equity, banche e armatori possano coesistere in un nuova triangolazione d'affari.
Il vertice di Unicredit ha ricordato che l'investimento nello shipping è certamente interessante se visto nel medio-lungo termine e, citando Andrew Hampson (managing director di Tufton Oceanic), ha detto che a inizio 2015 circa 180 miliardi di dollari risultano allocati nello shipping da parte degli investitori istituzionali (considerando sia la flotta esistente che i nuovi ordini finanziari), mentre l'esposizione in pancia alle banche è di 513 miliardi di dollari. Il portafoglio shipping di Unicredit risulta essere pari al 25% di quello di HSH Nordbank (istituto di credito tedesco leader di mercato) e la banca italiana per il futuro intende giocare un ruolo di nicchia all'interno dell'ampio mercato dei finanziamenti navali a livello internazionale.
Nicola Capuzzo
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