La società, gestita da due coniugi sostenuti da un consulente del lavoro e un commercialista, utilizzava cooperative intestate a prestanome e prive di una reale sede legale e amministrativa. La loro gestione reale avveniva invece nella sede del consorzio, impedendo così di scoprire dove le coop esercitavano la loro presunta attività. L'organizzazione lavorava anche con nomi noti della Grande distribuzione organizzata, acquisendo commesse a condizioni economiche più basse della concorrenza grazie proprio alla frode fiscale.
Il lavoro era subappaltato alle cooperative, che erano "usate come serbatoi di manodopera tramite schermi fittizi costruiti ad arte al fine di abbattere il costo del lavoro e commettere illeciti fiscali", spiegano gli inquirenti. Quando interrogati, i prestanome usati come amministratori "si sono mostrati del tutto ignari sia dell'attività esercitata dalle cooperative dai medesimi solo formalmente rappresentate, sia dell'entità delle somme transitate sui conti correnti e sia del numero dei soci-dipendenti".
Grazie a questo meccanismo, gli organizzatori di questo sistema hanno prodotto un giro di fatture false, che a sua volta ha consentito alla società consortile di evadere imposte, dal 2012 al 2014, per oltre nove milioni di euro. Al termine dell'indagine, denominata Ghost Coops, la Guardia di Finanza ha segnalato quindi persone all'Autorità giudiziaria per reati che vanno dall'emissione, all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti finalizzate all'evasione dell'Iva.
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