L'operazione, denominata Good Platts, ha sgominato un'associazione a delinquere presente in sette regioni italiane e in Svizzera, che importava carburanti dalla Slovenia e dalla Croazia e li vendeva in Italia evadendo Iva. In questo modo, l'organizzazione vendeva il carburante a un prezzo più basso di quello di mercato, producendo comunque enormi ricavi, che gli inquirenti valutano in 25 milioni di euro. L'inchiesta è iniziata da un controllo fiscale attuato in un'importante società di vendita di prodotti petroliferi umbra, di cui gli inquirenti non rivelano il nome. Questo controllo ha spinto la Finanza e i funzionari delle Dogane ad aprire l'indagine su un imprenditore umbro, che si è rivelato essere il "terminale privilegiato" di due organizzazioni criminali che in modo indipendente frodavano il Fisco, di cui una operante a livello internazionale.
Come è già avvenuto in altro frodi sui carburanti, anche questa sfrutta la norma che negli acquisti di carburanti svolti all'estero, impone di pagare l'Iva non nel luogo di produzione, ma in quello di destinazione. Quindi, una delle due organizzazioni aveva creato una società in Svizzera, che acquistava regolarmente il carburante da due raffinerie in Slovenia e Croazia e lo rivendeva a otto società italiane, create apposta per attuare la frode. Ciò avveniva "parcheggiando" il carburante in un deposito fiscale italiano, mentre le società paravento emettevano false fatture di vendita ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto dalla società svizzera, con l'applicazione dell'Iva.
Questo carburante low cost era distribuito a prezzi molto competitivi in una rete di distributori che facevano capo all'organizzazione criminale, distorcendo anche la concorrenza nel territorio interessato. Intanto, le società paravento non versavano l'Iva allo Stato, depositando i proventi del commercio in conti bancari svizzeri dove potevano attingere gli organizzatori della frode. Per evitare eventuali controlli, il prelievo del carburante dai depositi fiscali e il suo trasporto avveniva in modo formalmente regolare, così come erano saldati tutti i pagamenti all'interno della filiera. Solo l'Iva non era versata.
Anche la seconda organizzazione applicava un meccanismo analogo, usando tredici società paravento intestate a prestanome, che vendevano il carburante ai distributori. Questa banda, però, aveva escogitato alcune varianti per rendere più complessa la ricostruzione. Per esempio, le società fittizie acquistavano il carburante da fornitori italiani invece che all'estero, presentando false dichiarazioni d'intento che attestavano lo stato di esportatori abituali, così da traslare sulle società paravento il debito Iva.
Al termine dell'indagine, Finanza e Dogane hanno individuato ben ventuno società paravento, che in due anni hanno frodato 25 milioni d'Iva. Da quest'anno questo meccanismo di "frode carosello" dovrebbe essere ostacolato dalla nuova norma che impone il versamento dell'Iva allo Stato all'atto del prelievo del carburante dai depositi fiscali, così come avviene già per l'accisa. L'inchiesta ha portato a misure di custodia preventiva per tredici persone, otto in carcere e cinque agli arresti domiciliari, e al sequestro preventivo di 25 milioni di euro.
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