L'inchiesta è iniziata con un'analisi della situazione fiscale di alcune cooperative di facchinaggio che avevano sede nella zona di Crema, che hanno mostrato gravi irregolarità. Quindi i Finanzieri, seguendo le tracce dei documenti, sono arrivati nello studio di un commercialista milanese scoprendo un sistema di evasione fiscale più articolato, che ha coinvolto ben undici cooperative. Il meccanismo era piuttosto semplice: le cooperative eseguivano normalmente lavori di facchinaggio, pagando i contributi e la previdenza dei lavoratori, così da poter ottenere il Durc. Questo documento permetteva alle imprese di risultare regolari, mentre in realtà non presentavano dichiarazioni fiscali, evitando quindi di pagare l'Irpef e potendo di conseguenza offrirsi a prezzi più bassi delle concorrenza. Dopo un certo periodo, la cooperativa veniva liquidata e la frode continuava con una di nuova costituzione. Dopo la prima coop sorta a Pandino, la catena è proseguita con due cooperative a Brescia, una a Roma e sette a Milano.
Quando ponevano le società in liquidazione, gli organizzatori della frode nominavano come liquidatore un lavoratore straniero della stessa coop, che dopo avere firmato la documentazione diventava irreperibile all'estero. In questo modo, quando durante l'indagine i Finanzieri andavano nella sede legale della coop, non trovavano né la società, né il suo liquidatore. L'indagine è stata resa difficile anche dalla distruzione di una parte dei documenti, ma quelli trovati dai militi hanno permesso di raggiungere lo studio del commercialista milanese, permettendo così la ricostruzione del sistema. Questo meccanismo ha permesso di evadere il pagamento delle imposte su un fatturato di 65 milioni di euro, pari a un milione di euro. Al termine dell'indagine, il Sostituto Procuratore di Milano, Maurizio Ascione, ha denunciato undici persone per reti relativi all'evasione fiscale.
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