Fin dai primi giorni dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto il 14 agosto, alcuni organi di stampa hanno affermato che la causa scatenante sarebbe stata il passaggio di uno o più veicoli pesanti, ipotesi rilanciata anche pochi giorni fa. Il buon senso la ritiene una sciocchezza ma ora i camion che transitavano sul ponte quella mattina (alcuni dei quali caduti con esso causando la morte dei loro autisti) sono assolti anche dalla commissione ministeriale che ha il compito di stabilire cause e responsabilità dell'evento. Nella relazione pubblicata integralmente oggi sul sito web del ministero dei Trasporti, infatti, si legge che al momento del crollo il traffico era scorrevole e che "non era presente un numero elevato di mezzi d'opera o veicoli pesanti". La commissione aggiunge che "si ha notizia della presenza di almeno un mezzo d'opera con peso totale di circa 44 tonnellate. Si tratta di un carico non straordinario, che ha senz'altro percorso con elevata frequenza il viadotto nel corso degli anni. Inoltre, il peso di tale mezzo d'opera è paragonabile al peso per unità di lunghezza (metri in direzione longitudinale) dell'impalcato a cassone. Si tratta, in altre parole, di un carico rilevante per quanto concerne gli effetti locali (ad esempio sulle travi di bordo) ma poco rilevante per la sicurezza complessiva del viadotto e delle sue parti".
L'attenzione della commissione si concentra piuttosto sulla società concessionaria, Autostrade per l'Italia, e su quanto ha fatto (o non ha fatto) per prevenire il collasso del viadotto. La commissione rileva alcuni eventi che ritiene importanti: la mancanza della valutazione di sicurezza, che a suo avviso era obbligatoria anche per quest'opera, l'insufficienza di controlli accurati degli elementi strutturali, la possibilità che i carroponte per la manutenzione abbiano indebolito alcuni elementi del ponte e le scarse risorse impegnate per interventi strutturali.
La norma OPCM 3274/2003 impone che entro il 31 marzo 2013 doveva essere svolta la valutazione di sicurezza delle opere strategiche o rilevanti, ma la commissione non ha mai ricevuto tale documento e quindi afferma che la valutazione non è stata svolta. La commissione ritiene questo documento non una semplice formalità, ma che sia di "centrale importanza anche ai fini di prevenzione di superamento degli stati limite ultimi (e quindi dei collassi)". La relazione aggiunge anche che "il sistema d'ispezione adottato dalla Società, nel caso del calcestruzzo armato, anche precompresso, non consente di stimare affidabilmente il livello di corrosione".
Proprio la corrosione è uno degli elementi analizzati dalla commissione, soprattutto quella da cloruri, molto presente nelle strutture vicino al mare o dove viene sparso sale antighiaccio. La relazione ricorda che tale corrosione ha comportato il collasso di un ponte precompresso ad Agrigento nel 1999, evento che avrebbe dovuto far suonare un allarme anche per il ponte Morandi. Secondo la commissione, il concessionario sapeva da anni che alcune armature nelle campate appoggiate erano prive di copriferro, quindi erano necessarie indagini dirette a tappeto, che però non sono state attuate. Inoltre, fin dal 1993 (anno d'intervento sulla pila 11) "il tempo d'innesco della corrosione era ormai stato raggiunto in tutta l'opera", quindi "la corrosione era iniziata da anni". La commissione ritiene che i controlli siano stati carenti: "In tutta la documentazione Spea sono rinvenibili solo pochissime notazioni d'ispezioni interne ai cassoni degli impalcati dei sistemi bilanciati".
Se la commissione non considera rilevante il passaggio dei camion, ritiene invece importante il metodo di fissaggio del carroponte installato per gli interventi di manutenzione, che da alcune immagini sembra sia stato fissato intervenendo su elementi strutturali: "L'inserimento delle viti delle staffe di sostegno delle slitte del carroponte per il vincolo alle travi di bordo è operazione che può potenzialmente arrecare danni, anche gravi, che si sommano nel tempo per ripetute installazioni, alle armature lente e precompresse delle travi di bordo, giungendo al loto danneggiamento o anche tranciamento". Su questo aspetto, Autostrade per l'Italia non ha fornito informazioni sulle misure adottate per prevenire questo fenomeno.
I commissari hanno analizzato le spese per interventi strutturali svolte da Autostrade sul viadotto Polcevera, ritenendole inadeguate allo stato di degrado della struttura: "Nonostante la vetustà dell'opera e l'accertato stato di degrado, i costi negli interventi strutturali fatti negli ultimi 24 anni, di circa 23mila euro l'anno, tutti concentrati negli ultimi dodici anni, sono del tutto trascurabili". Così come sarebbe carente il programma d'intervento esecutivo datata ottobre 2017, che mostra una "evidente incapacità del concessionario di gestire le problematiche connesse all'invecchiamento delle opere d'arte affidategli secondo le modalità previste in convenzione che prevedono un'accurata programmazione dei lavori". Non solo, ma la scelta di svolgere i lavori lasciando scorrere normalmente il traffico poterebbe l'utenza "a sua insaputa, a essere strumento di monitoraggio dell'opera in corso d'opera e soprattutto con tempi di esecuzione pari a oltre due anni".
La commissione riconosce che è difficile, allo stato attuale, stabilire l'esatta dinamica del crollo e considera tre ipotesi. Comunque, ritiene che la più verosimile causa prima del crollo non sia la rottura di uno o più stralli, ma di uno degli altri elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone o impalcati a cassone).
Al termine della relazione, la commissione mette in evidenza alcune conclusioni: la procedura di controllo della sicurezza stradale delle opere di Autostrade è inadatta a prevenire i crolli e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso; la valutazione di sicurezza non è stata fatta e avrebbe potuto fornire una stima della sicurezza strutturale rispetto al rischio crollo; lo stato di ammaloramento del viadotto Polcevera si è evoluto nel corso degli ultimi 27 anni; le misure adottate da Autostrade per l'Italia alla prevenzione del crollo erano "inappropriate e insufficienti"; l'analisi tecnica mostra che doveva essere attuato sulla pila 9 e sugli impalcati tampone un intervento di sicurezza improcrastinabile, cosa non avvenuta; non è stata posta cura nel montaggio del carroponte per evitare di danneggiare le strutture del ponte; il 98% delle spese per interventi strutturali è stata fatta prima del 1999 (anno della privatizzazione) e solo il 2% dopo.
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