La Commissione Europea ha deciso che alcune attività all'interno dei porti italiani e spagnoli dovranno essere sottoposte a imposizione fiscale, come avviene in altri Paesi Europei. Secondo Bruxelles, infatti, oggi le Autorità portuali sono completamente esentate dall'imposta sul reddito delle società in Italia, mentre in Spagna sono esenti per quanto riguarda alcuni importanti cespiti, come per esempio i ricavi dalle tasse portuali e i redditi derivanti da contratti di locazione e concessione, tranne che nei Paesi Baschi, dove è assicurata la totale esenzione. "I porti sono infrastrutture essenziali per la crescita economica e lo sviluppo regionale e per questa ragione le norme UE in materia di aiuti di Stato prevedono che gli Stati membri dispongano di ampi margini di manovra per l'adozione di misure di sostegno e di investimento a favore dei porti", spiega Margrethe Vestager, Commissaria responsabile per la Concorrenza. "Al tempo stesso, per garantire condizioni eque di concorrenza in tutta l'UE, i porti che generano profitti esercitando attività economiche vanno tassati allo stesso modo degli altri operatori economici - né più, né meno".
La Commissione Europea pone una distinzione tra le attività ritenute "economiche" da quelle "non economiche". Queste ultime – come le attività di sicurezza e di controllo del traffico marittimo o di sorveglianza antinquinamento - rientrano solitamente nell'ambito di competenza delle autorità pubbliche, perciò sono escluse dal campo di applicazione delle norme UE in materia di aiuti di Stato e non vanno tassate. Viceversa, lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture - come la concessione dell'accesso al porto dietro pagamento - costituisce un'attività economica, quindi si applicano le norme UE in materia di aiuti di Stato e quindi la tassazione degli utili. Infatti, precisa la Commissione in una nota "l'esenzione dall'imposta sulle società per i porti che realizzano profitti da attività economiche può rappresentare un vantaggio competitivo sul mercato interno e pertanto comporta un aiuto di Stato che potrebbe essere incompatibile con la normativa dell'UE".
La Commissione aggiunge che "gli Stati membri hanno numerose possibilità di sostenere i porti rispettando le norme UE in materia di aiuti di Stato, ad esempio al fine di conseguire gli obiettivi dell'UE in materia di trasporti o di realizzare i necessari investimenti infrastrutturali che non sarebbero possibili senza l'intervento pubblico. A questo proposito, nel maggio 2017 la Commissione ha semplificato le regole che disciplinano gli investimenti pubblici nei porti. Dopo che la Commissione ha esteso il regolamento generale di esenzione per categoria agli investimenti non problematici nei porti, gli Stati membri possono ora investire fino a 150 milioni di euro nei porti marittimi e fino a 50 milioni di euro nei porti interni nella piena certezza giuridica e senza previo controllo della Commissione. Il regolamento autorizza ad esempio le autorità pubbliche a coprire le spese di dragaggio dei porti e delle relative vie di accesso. Inoltre, le norme dell'UE consentono agli Stati membri di compensare i porti per i costi sostenuti nello svolgimento di compiti di servizio pubblico (servizi di interesse economico generale)".
La Commissione Europea inviò nell'aprile del 2018 un primo avvertimento ai Governi italiano e spagnolo sulle sue preoccupazioni relative al sistema di esenzione per le Autorità portuali e l'8 gennaio 2018 ha invitato l'Italia e la Spagna ad adeguare la loro legislazione per assicurare che i porti paghino, a partire dal 1° gennaio 2020, l'imposta sulle società allo stesso modo delle altre imprese attive, rispettivamente, in Italia e in Spagna. I Governi hanno due mesi di tempi per opporsi al provvedimento. Nei mesi scorsi, Bruxelles ha preso provvedimenti analoghi per i Paesi Bassi, il Belgio e la Francia.
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