I parlamentari britannici hanno affondato con un grande margine (432 voti contro e 202 a favore) le seicento pagine della bozza di accordo firmata dal Primo ministro May con il Consiglio europeo. Questo è il documento che stabilisce le procedure per l'uscita dalla Gran Bretagna dall'Unione Europea, che avverrà il 29 marzo 2019. Ora si aprono quattro possibilità: la hard exit, ossia un'uscita senza accordi, un radicale cambio di marcia della Gran Bretagna che può chiedere all'Unione di restare, un nuovo referendum tra i britannici o un nuovo accordo con Bruxelles. L'ultima ipotesi è la meno probabile, perché l'Unione ha chiaramente detto che non intende riaprire i negoziati, mentre un ripensamento del Governo britannico senza referendum causerebbe un terremoto politico. Ma anche un nuovo referendum è ritenuto poco probabile, perché porrebbe comunque la classe politica di fronte al suo fallimento e comunque richiede un rinvio dell'uscita. Ci si prepara quindi alla hard exit, senza però sapere che conseguenze avrà in Gran Bretagna e nell'Unione.
Tra i settori maggiormente a rischio c'è quello della logistica e del trasporto delle merci: senza un accordo, infatti, la Gran Bretagna diventerà un Paese extra-comunitario a tutti gli effetti, senza avere neppure intese bilaterali. Le prime dichiarazioni degli operatori e delle associazioni di categoria mostrano gravi preoccupazioni sulle numerose restrizioni che entreranno il vigore il 30 marzo nel flusso delle merci tra Gran Bretagna e UE. Per comprendere l'entità del danno, basti pensare al flusso di veicoli industriali che ogni giorno attraversa la manica su treno o traghetto e che dovrà sottostare alle pratiche doganali. Lo stesso varrà per i container che viaggiano tra EU e l'isola, che dovranno sottostare a tutte le procedure relative a quelli extra-comunitari. Tutti sperano in una soluzione positiva all'ultimo momento, ma intanto si preparano a un'uscita senza paracadute.
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