Che dal primo ottobre 2020 i veicoli industriali con motore Euro 3 (misura che a gennaio 2021 sarà estesa agli Euro IV) non potranno beneficiare dello sconto sulle accise del gasolio si sapeva da tempo, almeno dalla pubblicazione dell’ultima Legge Finanziaria, ma in Italia la speranza di un rinvio, magari reiterato, non muore mai e alcune associazioni dell’autotrasporto lo hanno chiesto, approfittando anche dell’emergenza Covid-19. Al 30 settembre, però, tale rinvio non è stato annunciato, anche se comunque restano tre mesi (sino alla prossima richiesta dello sconto sull’ultimo trimestre dell’anno) per ottenerlo e quindi negli ultimi giorni si sono alzati i toni sulla questione. Questione che non comprende solo le accise per gli Euro 3 ma anche l’ipotesi lanciata dal ministero dell’Ambiente di equiparare l’accisa del gasolio a quella della benzina.
Le due questioni, seppure separate, sembrano unite, almeno nella strategia delle associazioni degli autotrasportatori. La battaglia più concreta è quella sull’eliminazione dello sconto per gli Euro 3, che è già provvedimento di Legge, mentre l’aumento delle accise non solo è una proposta che potrebbe essere gradualmente diluita negli anni, ma esplicitamente esclude i veicoli industriali sopra le 7,5 tonnellate, perché contestualmente prevede un aumento dei fondi per il parziale rimborso (come spiega questo articolo di TrasportoEuropa). Eppure proprio su questo secondo tema si concentra l'opposizione di Conftrasporto, il cui vice-presidente, Paolo Uggè, il 25 settembre sul web ha ammonito: “Si vuol provare a scontrarsi con l’autotrasporto? Si accomodi ministro Costa e troverà pane per i suoi denti. Mi permetto di ricordare che il fermo dell’autotrasporto fu una delle concause che nel 2008 portò alla fine della legislatura. Il presidente del Consiglio farebbe bene a non dimenticarlo”.
Più diretta all’eliminazione dello sconto è la nota di Trasportounito del 30 settembre, dove il segretario generale Maurizio Longo scrive che in Italia si profila uno scenario “di oltre 200mila veicoli industriali, attualmente circolanti, costretti a pagare le conseguenze di norme distorsive, e a cercare qualsiasi tipo di compensazione. Una missione quasi impossibile per i più che rischiano di chiudere o di ridimensionarsi drasticamente per ottemperare alle norme di una distorta competizione sul mercato e di un ulteriore abbassamento degli standard di sicurezza stradale”.
In tutti i casi, che ci sia o meno un rinvio dell’eliminazione dello sconto sulle accise, questo è l’ennesimo nodo dell’autotrasporto italiano che arriva al pettine. Un nodo che ha origine antiche, in uno schema che per decenni ha visto le associazioni degli autotrasportatori accettare le continue riduzioni tariffarie imposte dalla committenza in cambio di contributi pubblici. In pratica, lo Stato paga una parte della retribuzione dell'autotrasporto nel nome della competitività delle imprese produttive e commerciali e della pace sociale con gli autotrasportatori. Un meccanismo che però si è logorato a causa della convergenza di diversi elementi, di ordine interno ed esterno, ma che viene comunque riproposto.
Anche gli strumenti di pressione sono rimasti inalterati e tra questi spicca la minaccia del fermo dell’autotrasporto. Ma chi si fermerebbe? Le piccole imprese che a stento arrivano a pareggiare i conti e che si fanno la guerra sul ribasso delle tariffe? Quelle strutturate che ormai hanno flotte Euro V ed Euro VI? Anche la tradizionale arma di bloccare con pochi camion i depositi di carburante o i principali nodi stradali è spuntata, a causa delle Leggi (approvate dal passato Governo di centro-destra) che prevedono condanne penali per chi blocca la circolazione. Quanti camionisti affronterebbero un processo in nome delle accise sul gasolio? Infine, l’industria e il commercio (rappresentati nelle stesse confederazioni dove siedono le principali associazioni dell’autotrasporto) potrebbero accettare ritardi nelle consegne delle materie prime e dei prodotti finiti in questa fase d’incertezza economica?