L’elevato costo del trasporto marittimo di merci in container inizia a indurre mutamenti negli scambi commerciali che fino a pochi mesi fa eravamo ormai abituati a vedere in Italia. Carichi normalmente spediti in container scelgono altre navi (in particolare le merci di basso valore) oppure gli importatori italiani scelgono di approvvigionarsi in altri mercati, in primis nell’Est Europa, perché la tratta marittima della logistica inizia ad avere un’incidenza troppo elevata sul prezzo finale del prodotto.
Secondo una recente analisi pubblicata da Unicredit, gli effetti sarebbero al momento ancora limitati e un rischio d’inflazione generato dall’elevato costo delle spedizioni fra Asia ed Europa per il momento non appare come probabile. «Assumendo che il costo del trasporto incide per un 5% sul valore totale delle merci spedite via mare (fonte Unctad), il prezzo delle importazioni europee potrebbe salire di un 2,3%. Questo però sarà vero solo nel caso in cui i noli marittimi dovessero permanere a livelli tanto elevati per un lungo periodo di tempo”, afferma il rapporto di Unicredit. L’economista della banca, Andreas Rees, aggiunge come “finora solo una modesta percentuale d’inflazione sul prezzo finale dei beni sembra probabile, ma questo trend merita di essere tenuto attentamente sotto osservazione”.
Secondo il Freightos Baltic Index la rata di nolo per un container standard da 40 piedi trasportato via nave dall’Estremo Oriente all’Europa è passato dai 2100 dollari di novembre 2020 ai 7800 dollari di febbraio 2021. Questa è la rotta più cara per gli importatori ed esportatori italiani. Un approfondimento di Spediporto (l’associazione degli spedizionieri genovesi) su dati di Ihs Markit mostra che noli marittimi quadruplicati nel giro di dodici mesi hanno in realtà un’incidenza significativa su alcune particolari categorie merceologiche e su altre meno.
In generale, per ogni container da 40’ che contenga merce per un valore di circa 50mila dollari, l’incidenza del trasporto via nave è salita dal 4,6 al 15,3%, mentre per un box con dentro 80mila dollari di prodotti è passata dal 2,8 al 9,5%. Valori che una certa spinta inflazionistica potrebbero effettivamente generarla.
Considerando il nolo attuale da 7650 dollari per un trasporto dalla Cina al Mediterraneo, l’incidenza su un container da 40’ carico di legno e prodotti di legno (valore della merce 5420 dollari) è oggi del 141%, su prodotti minerali (11.266 dollari) è del 67,9%, su metalli (76.294 dollari) è del 10,03%, su prodotti alimentari (44.984 dollari) è del 17%, su prodotti animali (63.088 dollari) è del 12,13%, su pellami (82.532 dollari) è del 9,27%, su macchinari (189.322 dollari) è del 4,04% e infine su articoli come calzature (1.183.144 dollari) l’incidenza è solo dello 0,65%. Questi numeri dimostrano come, soprattutto per determinate tipologie di carichi a basso valore, un qualche stravolgimento nelle catene logistiche (riduzione degli scambi commerciali o cambi di modalità di trasporto) è prevedibile.
Durante un recente confronto fra compagnie di navigazione e spedizionieri italiani organizzato dal Propeller Club di Milano, il presidente di Assagenti, Paolo Pessina, ha previsto che “l’attuale livello di noli possa proseguire per tutto il primo ma anche per il secondo trimestre dell’anno in corso”, cancellando le speranze di quanti confidavano in una discesa significativa delle rate nelle prossime settimane o comunque dopo il Capodanno cinese.
Gian Enzo Duci, vicepresidente di Conftrasporto, a proposito dell’incidenza del trasporto marittimo sulla merce trasportata ha affermato che “su un container carico ad esempio di scarpe da ginnastica è di circa lo 0,1% sul prezzo finale del bene, anche con noli in media da 7500 dollari. Questo per dire che il costo del trasporto marittimo non incide sul valore finale dei prodotti ad alto valore aggiunto e in questo la globalizzazione continuerà a fare il suo corso”. Duci ha poi aggiunto: “Con noli a mille dollari viaggiavano in container anche il grano o la spazzatura ma quella era logistica malata. Ora quelle merci sono tornate a viaggiare via mare su navi portarinfuse”.
Il tema del cosiddetto reshoring, intendendo con ciò il ripensamento della delocalizzazione produttiva per riavvicinare o quantomeno diversificare i centri di produzione delle aziende, è tornato prepotentemente alla ribalta anche per effetto del “caro noli”. Andrea Scarpa, vicepresidente e vertice del Maritime Advisory Body della Federazione Nazionale degli Spedizionieri (Fedespedi), ha dichiarato: “Queste rate porteranno a un rallentamento dei traffici globali via mare. Ci sono molte aziende italiane che stanno cambiando importatori per cercarne di più vicini, ad esempio in Europa, perché il costo del trasporto marittimo è diventato troppo caro. Nelle navi da 24mila teu di capacità poi cosa ci metteremo?”, ha domandato.
Il collega Alessandro Pitto, vertice dell’associazione genovese degli spedizionieri Spediporto, ha evidenziato il fatto che “il livello di servizio che i caricatori stanno ricevendo, o forse sarebbe meglio dire subendo, è certamente inadeguato. È diventata una corsa a ostacoli per trovare la prenotazione, attendere la conferma dal vettore, confidare sull’arrivo della nave, trovare il container vuoto da riempire e poi sperare di riuscire a farlo imbarcare”.
Nicola Capuzzo