Il 17 settembre 1871 veniva inaugurato il traforo ferroviario del Frejus, allora il più lungo del mondo, tuttora unico valico in quota tra l’Italia e la Francia, nonostante le severe rampe di accesso della val di Susa e della Maurienne. Il 17 settembre 2021 il tunnel compie 150 anni ma ormai vede, anche se non vicinissima, la data del suo parziale pensionamento con la realizzazione della galleria di base del Moncenisio.
Nella metà dell’Ottocento, il Piemonte, allora Regno di Sardegna retto da Carlo Alberto, cercava con ogni mezzo di sottrarsi all’influenza austriaca, guardando da una parte a nord verso la Svizzera, dall’altra alla Francia. Ma c’erano da valicare le Alpi. E allora da Torino a Lione erano quattro giorni di viaggio. L’idea venne a un modesto impiegato delle Dogane, Giuseppe Francesco Medail, ma profondo conoscitore dei luoghi che individuò subito il corridoio adatto tra Bardonecchia (allora Bardonnèche) e Modane. Con il fratello costruttore mise a punto un progetto sommario ed ebbe l’ardine di presentarlo al re, seppur con scarso successo.
Ma una nuova elaborazione più articolata, nel 1841 venne inviata nuovamente a Carlo Alberto che “l’accolse con bontà”. La cosa non venne lasciata cadere. Il Governo incaricò l’ingegnere belga Henri Maus che presentò un’ipotesi definitiva di tracciato nel 1849. Attraversare le Alpi con una ferrovia di oltre dodici chilometri per l’epoca era al limite della temerarietà. A tal punto che si prevedeva di suddividere il percorso in otto piani inclinati, ognuno da superare attraverso cavi senza fine e macchine fisse mosse dall’acqua dei torrenti. Idee visionarie, di scarsa praticabilità.
L’impulso definitivo venne con l’ingresso nel governo sabaudo del conte Camillo Cavour che da subito intuì l’importanza delle ferrovie a tal punto che il Regno di Sardegna in soli dieci anni si dotò della più vasta rete ferroviaria tra gli Stati italiani. Ma non c’erano le tecnologie adatte per realizzare un tunnel di quella portata, fino all’intuizione avuta dall’ingegnere Germano Sommeiller con la perforatrice ad aria compressa.
Sommeiller insieme a Severino Grattoni e Sebastiano Grandis furono i veri artefici dell’impresa. Senza questa tecnica di scavo sarebbero occorsi venticinque anni di lavoro invece di quattordici. La tenacia di Cavour spinse il parlamento nel 1857 ad approvare la legge per il traforo che allora avrebbe collegato due regioni interne del Regno di Sardegna in quanto la Savoia non era stata ancora ceduta alla Francia. Non restava che dare inizio ai lavori e questo avvenne il primo settembre 1857, da parte del re Vittorio Emanuele II dal cantiere di Modane, scelto per far vedere ai francesi le capacità ingegneristiche italiane.
I rilievi geodetici avevano impegnato i tecnici per più di un anno, con misurazioni accurate fatte e rifatte con continue verifiche sul posto, anche ad alta quota. I topografi lavorarono veramente bene: all’atto della congiunzione dei due cunicoli di scavo in avanzamento, si rilevò uno scarto di appena 40 cm nell’asse e 60 cm in altezza, un’opera strabiliante per gli strumenti di allora.
I primi lavori di scavo, fatti a mano con mazza e barra e fori da mina consentivano di avanzare di soli 50 cm al giorno, poi l’arrivo delle perforazioni meccaniche fece il miracolo. Fino al 1871 quando il treno inaugurale partito da Torino in festa e raggiunta Bardonecchia tra l’ovazione generale imboccò il tunnel per giungere a Modane, nel frattempo diventata località francese, dove fu accolto con una fredda impassibilità se non irritazione per il tono nazionale dell’inaugurazione, senza bandiere o manifestazioni.
Ma l’avvio non fu facile, perché mancavano locomotive adatte a salire in montagna, soprattutto con il carico di merce. Ci si basò sull’esperienza della ferrovia dei Giovi, ma la cosa rimaneva comunque un’impresa in quanto una vaporiera allora poteva affrontare la rampa in salita da Bussoleno a non più di 20 chilometri l’ora rimorchiando un carico utile di non più di 250 tonnellate. Pochi i progressi negli anni successivi, sempre alle prese con il problema del fumo nelle gallerie. Bisognerà attendere l’elettrificazione in corrente trifase arrivata a tappe e completata nel 1916 per entrare nell’era contemporanea.
Piermario Curti Sacchi