Nel luglio del 2012 Emilio Corbo, un autotrasportatore di 62 anni, morì per un mesotelioma causato dall’esposizione all’amianto. L’anno successivo la sua vedova, Susanna Vannucci, presentò quindi la richiesta d’indennità all’Inail, che però la rifiutò sostenendo che non c’era una correlazione tra l’attività di autotrasportatore e la malattia. La donna non si arrese e ricorse contro questa decisione al Tribunale di Pistoia, che respinse la richiesta dando quindi ragione all’Inail.
Ma pure in questo caso la signora Vannucci decise di andare avanti, sostenuta anche dall’Osservatorio Nazionale Amianto, il cui presidente Ezio Bonanni firmo il ricorso in Appello. Anche in questo caso i legali dell’Inail affermarono la mancanza di un nesso col lavoro, ipotizzando anche che l’esposizione all’amianto di Corbo fosse derivata dalle tubature in asbesto di una stufa presente nella casa dell’uomo.
La tesi di Bonanni è stata invece che l’esposizione sia avvenuta durante l’attività di autotrasportatore artigiano, che Corbo ha esercitato per trent’anni dal 1979 al 2009, a causa dell’amianto contenuto in alcuni componenti dei veicoli e nei guanti che usava per proteggersi dal calore per ispezionare freni e motore.
I giudici d’Appello hanno accolto la tesi di Bonanni e hanno condannato l’Inail al pagamento di 240mila euro come arretrati dell’indennità e di una una rendita mensile di circa 1800 euro, più l’assegno funerario. Una sentenza che apre le porte al risarcimento sull’amianto anche agli autotrasportatori.