I Carabinieri avevano soprannominato l’indagine Work Machine, ossia “macchina da lavoro”, perché così hanno definito i lavoratori due titolari di un’impresa di riparazione di pallet della provincia di Mantova. Le “macchine” erano una ventina di operai, in gran parte immigrati provenienti da diversi Paesi (India, Pakistan, Marocco, Romania) che secondo gli inquirenti lavoravano da dieci a diciotto ore al giorno per riparare pallet e dormivano in un container. Formalmente lavoravano con un regolare contratto, ma i Carabinieri hanno riscontrato che le condizioni di lavoro non corrispondevano a quelle contrattuali per orario e ambiente di lavoro.
Dall’indagine è emerso che in alcuni casi i lavoratori sono stati “affittati” ad altre imprese delle provincie di Parma, Cremona, Verona e Vicenza. E chi protestava era costretto a firmare le proprie dimissioni. Al termine dell’indagine, la Procura di Mantova ha chiesto il rinvio a processo per i due imprenditori, richiesta accolta dal giudice per le indagini preliminari Antonio San Cassano. I reati di cui dovranno rispondere sono caporalato, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro in concorso.