La Procura di Treviso sta svolgendo un’indagine nella logistica per i reati di frode fiscale e di somministrazione fraudolenta di manodopera. In tale contesto, il 31 gennaio 2024 la Guardia di Finanza della città veneta ha sequestrato beni per sette milioni di euro e ha segnalato dodici imprenditori e otto società. Inoltre, ha contestato sanzioni amministrative per 690mila euro per illeciti sulla normativa del lavoro. Questa frode avrebbe coinvolto quattordici imprese: una cooperativa che impiega 180 lavoratori e fattura oltre quattro milioni di euro, e tredici suoi committenti, undici dei quali hanno sede nel trevigiano, una a Bergamo e una a Reggio Emilia. Di nessuna gli inquirenti hanno fornito il nome.
In una nota, la Guardia di Finanza spiega che “quello portato alla luce è un fenomeno insidioso e grave perché riguardante il mondo del lavoro, le cui tutele vengono aggirate attraverso un impiego distorto di un negozio giuridico, l’appalto di servizi, stipulato con imprese che provvedono solo formalmente ad assumere i lavoratori e ad assolvere i relativi obblighi fiscali e contributivi. In realtà, i rapporti tra committenti e società appaltatrici sono strutturati al solo scopo di ‘interporsi’ tra i lavoratori e le aziende alle cui dipendenze prestano effettivamente la propria attività lavorativa”.
Durante l’indagine, i Finanzieri hanno ricostruito la filiera della manodopera, sia analizzando la documentazione delle aziende, sia acquisendo le testimonianze di diversi soci-lavoratori di cooperative. Da questa inchiesta è emerso che “i rapporti di lavoro con i vari committenti erano privi degli elementi che caratterizzano la liceità dell’appalto, e cioè il rischio d’impresa e l’organizzazione autonoma di mezzi e risorse”.
L’assenza del rischio è stata rilevata tramite fogli di calcolo ed email, perché “il corrispettivo dei contratti veniva commisurato esclusivamente al costo orario dei soci-lavoratori forniti dalla cooperativa (con l’aggiunta di un modesto margine di profitto), senza alcun legame a obiettivi di risultato”. Inoltre, gli inquirenti contestano “l’assenza di organizzazione del lavoro e dell’esercizio del potere direttivo in capo alla cooperativa, cosicché le maestranze somministrate erano etero-dirette, cioè soggette alla gestione e controllo da parte dei committenti, rimanendo alla cooperativa appaltatrice solo compiti di natura amministrativa”.
In concreto, avveniva che “i lavoratori, nell’esecuzione delle prestazioni, soggiacevano alle direttive e alle indicazioni fornite dagli stessi clienti finali della cooperativa, i quali decidevano le mansioni da svolgere, gli orari e le modalità esecutive; in alcuni casi, gli operai timbravano le loro presenze nelle sedi dei committenti”. Inoltre, la cooperativa emetteva la fattura solo dopo aver ricevuto dai clienti la conferma sul corretto computo delle ore di lavoro dei propri dipendenti.