La bozza della Legge di Bilancio 2025 che è in discussione al Parlamento contiene anche l'estensione della web tax a tutte le imprese che forniscono servizi digitali. Questa imposta venne istituita nel 2020 per contrastare l’elusione fiscale da parte delle multinazionali del web, come quelle che svolgono servizi di commercio elettronico, motori di ricerca o social network. Per limitare il suo impatto – che prevede una tassazione del 3% sul fatturato (e non sull’utile) – venne stabilita una soglia di fatturato (750 milioni di euro globali e 5,5 milioni in Italia) sotto la quale c’è l’esenzione. La Legge di Bilancio elimina tale soglia, imponendo quindi il pagamento della web tax a tutte le imprese dal 2026.
Se il Governo cercava un modo per ostacolare la digitalizzazione del Paese, non poteva fare di meglio. Basti pensare che la fornitura di servizi digitali interessa ormai tutti i settori e viene svolta in diverse forme da migliaia d’imprese, molte delle quali sono di piccola o media dimensione, se non addirittura start-up. In pratica la norma comprende le piattaforme digitali, la vendita di pubblicità online e la trasmissione dei dati degli utenti. Un contesto che coinvolge anche il trasporto e la logistica.
L'associazione Netcomm esprime una “forte opposizione” all'estensione della web tax, sostenendo che è un “errore strategico”. In una nota scrive che “molte delle aziende italiane, per lo più piccole e medie, operano in un contesto economico sfidante, caratterizzato da concorrenza internazionale e margini di profitto ridotti. Questi nuovi oneri fiscali potrebbero limitare la loro capacità di crescita e sviluppo, con conseguenze negative per l’intero ecosistema digitale. La pressione fiscale ulteriore non solo scoraggerà gli investimenti in innovazione, ma avrà un effetto a catena sull’intero ecosistema digitale”.
Il presidente di Fedoweb – che associa l’editoria – Giancarlo Vergori ha dichiarato che “sebbene l'intento di garantire una tassazione equa delle grandi piattaforme digitali sia comprensibile, l'eliminazione delle soglie estenderebbe l'imposta a tutte le imprese, con conseguenze controproducenti". L’associazione solleva anche dubbi sulla costituzionalità del provvedimento, che violerebbe sia l’articolo 53 sul principio di capacità contributiva, sia l’articolo 3 sul principio di uguaglianza.
Un paradosso è che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni criticò la web tax (quella originale per le multinazionali) sul sito web di Fratelli d’Italia il 29 novembre 2019 dichiarando che “l’aliquota unica al 3% sui colossi del web è ridicola, è un’idiozia, è una vergogna. Se si vogliono tassare adeguatamente i giganti di internet e combattere l’elusione fiscale, l’unica strada percorribile è quella di imporre una tassazione proporzionata al loro volume d’affari, certificato dal numero di accessi sulle loro piattaforme. Non possiamo più tollerare che mentre le imprese italiane vengono spremute come limoni, le multinazionali del web continuino a lucrare indisturbate senza contribuire. Fratelli d’Italia ha formalizzato questa proposta in un articolato emendamento alla manovra di bilancio: speriamo possa essere discusso e approvato”.