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    Lo standard europeo Ertms mette in ginocchio le imprese ferroviarie

    L’aspirazione delle imprese ferroviarie che offrono i propri servizi in Europa è sempre stata quella di avere a disposizione una rete perfettamente interconnessa, in cui non esistono barriere e confini tecnici e normativi. Tutto questo poteva sembrare a portata di mano con l’integrazione europea, ma la speranza appare ancora un’utopia, per non dire un’illusione. L’idea di adottare un unico sistema di gestione, controllo e segnalamento per le ferrovie europee parte da lontano, nel 1989, e ha dato vita allo standard Ertms/Etcs, la cui prima concreta applicazione si è avuta in Italia, sulla Roma-Napoli AV nel 2005.

    Ma quello che doveva rappresentare un unico linguaggio parlato in tutta Europa si è rivelato un insieme di idiomi, per non dire di dialetti diversi. La responsabilità di tutto questo è da ricondurre sia allo sviluppo tecnologico sempre più frenetico sia alle norme che si sono via via succedute a livello europeo e nazionale. Il risultato è che non abbiamo un unico standard Ertms, in quanto attualmente in Europa abbiamo quattro livelli di Etcs con tre diverse baseline che messi insieme tra di loro fanno un mazzo di carte: L1 BL2, L1 BL3 MR1, L1 BL3 MR1 con Radio Infill, L1 BL3 R2, L2 BL2, L2 BL3 MR1 e L2 BL3 R2.

    Ma la cosa non è finita, perché l’integrazione tra i diversi sistemi a terra, quindi della linea, con quelli di bordo varia ed è identificata dagli Esc Type (Etcs system compatibility) che si calcolano in decine, anzi considerando la rete europea nel suo complesso, gli Esc Type superano il centinaio. Questa Babele ha pesanti ricadute sulle imprese ferroviarie, in primo luogo dal punto di vista economico per attrezzare le locomotive. E il risultato è che non tutte le macchine sono adeguate a percorrere tutti i corridoi europei.

    Sui corridoi interoperabili come quelli rappresentati dai valichi tra Italia e reti confinanti”, spiega Alberto Lacchini, responsabile divisione italiana di Railpool e presidente Assorotabili, l’associazione che comprende costruttori, società di noleggio e aziende specializzate nella manutenzione dei rotabili ferroviari merci, “coesistono Etcs e sistemi nazionali, ma le locomotive dotate di doppio attrezzaggio possono circolare solo utilizzando il sistema Etcs”. Fin qui sembra tutto coerente, ma soluzioni temporanee non sono certificate e questo ha come risultato il fatto che non sarà possibile incrementare il traffico merci internazionale per i prossimi anni.

    “In Italia uno dei principali corridoi verso la Svizzera è equipaggiato in parte con Etcs L1 con Radio Infill”, spiega nuovamente Lacchini, “ma la maggior parte delle locomotive interoperabili oggi circolante è equipaggiata con i sistemi BL2 o BL3.4 e i principali fornitori di tecnologia stanno investendo tutto su BL3.6 senza aggiornamenti delle serie precedenti. La nuova evoluzione del segnalamento sarà disponibile e autorizzata presumibilmente entro il 2026, pertanto nessuna locomotiva interoperabile attualmente equipaggiata con Etcs può circolare su questi corridoi prima di quella data”.

    E tutto questo, spendendo centinaia di migliaia di euro per ogni macchina: ogni autorizzazione Esc Type può costare da 350mila a 700mila euro per ogni modello e l’aggiornamento a una versione superiore di Etcs anche 300mila euro a treno. Ci sono poi da fare i conti con il piano accelerato di conversione all’Etcs da parte d Rfi avviato nel 2024: il rischio è quello che il giorno in cui sarà “spento” il sistema nazionale, molte locomotive perderanno la circolabilità. Bisogna dare atto a Rfi che, consapevole delle difficoltà, sta cercando una soluzione tampone per le linee equipaggiata con Radio Infill, consentendo alle imprese ferroviarie di circolare temporaneamente.

    Ma le sorprese non finiscono qui perché la burocrazia ha creato un castello di norme adottate in teoria per garantire la sicurezza, ma che si traducono in regole al limite del buon senso. Una di queste riguarda l’abilitazione dei macchinisti nella conduzione dei treni. Questa non è legata solo alla tipologia di treno o locomotiva, cosa che sarebbe tutto sommato logica, ma anche alle linee ferroviarie, anzi alla singola linea. Il macchinista deve conseguire quella che viene indicata come “conoscenza linea” che consente di percorrere una determinata tratta o più tratte.

    Questa abilitazione è valida due anni dopo di che va rinnovata e il personale di macchina parla di “mantenimento conoscenza linea”. Per fare un parallelismo, è come se un autotrasportatore che per due anni non percorre una determinata autostrada, decade dal poterla utilizzare senza rinnovare il “nulla osta”. Non bastano quindi cantieri, chiusura di linee, soppressioni e costi alle stelle per l’energia, anche la tecnologia si mette di traverso per le imprese ferroviarie.

    Piermario Curti Sacchi

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