Non si dirada la nebbia che sembra avvolgere i cantieri del Terzo Valico ferroviario dei Giovi, così come le prospettive di fine lavori appaiono sempre più incerte. Fa parte ormai della cronaca il fatto che il procedere dell’opera è stata rallentata da vari fattori legati alle caratteristiche delle rocce e dei terreni che hanno bloccato l’avanzamento delle frese, insieme alla presenza di gas riscontrata in percentuali anomale in alcune aree di scavo. Ma, a quanto pare, le difficoltà non sono circoscritte a questi eventi già noti, ci sono altre criticità. Queste sono emerse in una sede istituzionale, il consiglio regionale della Liguria, ma hanno avuto una scarsa eco perché sottovalutate come se fossero solo materia di dibattito politico.
Rispondendo a un’interrogazione avanzata dalla minoranza, l’assessore regionale alle Infrastrutture, Giacomo Giampedrone, ha affermato che su dodici fronti di scavo, otto sono quelli operativi. I quattro fronti problematici, già noti, sono costituiti dai due cantieri di Radimero dove si sono bloccate le frese meccaniche e dai due di Voltaggio dove è stato riscontrato il grisù. Ma anche tra gli otto fronti attivi, i problemi non mancano.
Nel tratto tra il cantiere Cravasco e quello di Castagnola è stata riscontrata la presenza di amianto sopra soglia che comporta l’adozione di specifiche tecniche di scavo in sicurezza e di recupero del materiale contaminato. Sempre secondo l’intervento dell’assessore regionale, altri rallentamenti nello scavo sono dovuti a “profili geomeccanici più gravosi tra i cantieri di Cravasco, Castagnola e Val Lemme”. Inoltre non sarebbe stata trovata ancora la soluzione definitiva su come affrontare la notevole presenza di gas a Voltaggio.
Viste le difficoltà oggettive, il ministero dei Trasporti ha cercato di fare chiarezza, ma nel fare il punto della situazione, le incognite soprattutto sui tempi di realizzazione restano tuttora senza una risposta definitiva. In un incontro convocato al Mit alla presenza del viceministro Edoardo Rixi, è stata confermata la ripresa degli scavi interrotti, con particolare attenzione ai tratti bloccati per il fermo delle Tbm o per la presenza di gas.
Ma la notizia è solo in parte rassicurante perché secondo il ministero i lavori nei cantieri fermi per difficoltà tecniche riprenderanno tra la primavera e l’estate 2025. Non bisogna dimenticare il fatto che la prima fresa si è bloccata nel giugno 2022 e nell’ottobre 2023 la stessa sorte è toccata anche alla seconda Tbm. È vero che in questi cantieri sono proseguite alcune attività collaterali, ma tutti questi mesi di ritardo pesano inevitabilmente sui tempi di conclusione dell’opera.
Sulla revisione del cronoprogramma dei lavori era del resto già intervenuta Rfi, con una nota pubblicata a novembre 2024. Secondo il gestore della rete ferroviaria, l’obiettivo della conclusione dell’opera resta il 2026, ma con due importanti precisazioni: questa è la data in cui si prevede di ultimare tutti gli interventi infrastrutturali, dopo di che partirà la fase di collaudi, prove e preesercizio. Rfi non lo ha esplicitato in dettaglio, ma a questo punto c’è da stimare non meno di un anno prima di arrivare all’apertura effettiva. Inoltre, e questa è la seconda informazione contenuta nel comunicato di Rfi, nella prima fase l’esercizio ferroviario avverrà su un solo binario, con tutti i limiti del caso, in attesa del completamento dell’opera i cui tempi non vengono indicati con certezza. Anche il modello di esercizio per il momento resta indefinito e differito al 2027: solo allora sarà possibile conoscere la potenzialità della linea e quindi stabilire la quota dei treni passeggeri e di quelli merci.
Piermario Curti Sacchi