Pensate ai camion e alle strade degli anni Cinquanta e immaginate una donna sola in viaggio sui quei camion e su quelle strade. Non è un esercizio di fantasia, ma un frammento della vita di Nora Pizzati, probabilmente la prima donna camionista d'Italia. Nata a Padova, ma emigrata a nove anni con la famiglia a Governolo, cittadina ad una quindicina di chilometri da Mantova, comincia a lavorare giovanissima nelle risaie che allora circondavano la città lombarda. Ma nel 1948 decide che la sua vita non è nei campi. L'uomo che presto diventerà suo marito ha fatto l'ultimo scorcio della guerra con gli americani e da questa esperienza ha ereditato un Dodge, con cui vuole iniziare l'attività di autotrasportatore.
Anche Nora decide di gettarsi in questa avventura, che oggi qualcuno definirebbe "imprenditoriale", ma che allora era nello tempo un modo per sbarcare il lunario e una speranza per il futuro. Lei inizia veramente dalla gavetta, con un carretto trainato dalla bicicletta. Ogni notte a Mantova, a caricare il ghiaccio per i caseifici. Dopo tre anni raccoglie i soldi per acquistare il primo veicolo motorizzato: un motocarro Lambretta scoperto. Altri tre anni, e può permettersi la versione con cabina chiusa.
Ma Nora non si accontenta. Il Dodge è una tentazione continua. Chi ha la passione del volante nel sangue può già immaginare il seguito. Nora impara subito a guidare il musone americano e qualche volta accompagna il marito, dandogli il cambio al volante. "Per qualche anno lo ho guidato con la sola patente dell'automobile", confessa ridendo. "Allora i controlli sulle strade erano rarissimi".
Ma non poteva andare avanti a lungo in questo modo, così Nora affronta l'esame per la patente C. "Mi hanno bocciata un paio di volte, ma solo in teoria. Il fatto è che non riuscivo a concentrarmi sul funzionamento del motore e sugli altri argomenti tecnici. Una volta ho anche detto all'ingegnere: secondo me non lo sa neppure lei come funziona esattamente. La prova di guida, invece, è stata rapidissima. Dopo la seconda manovra mi hanno promossa". Ottiene finalmente la patente, ma non può viaggiare sempre sul "pesante", anche perché ha ormai un figlio e non vuole stare fuori per lavoro più giorni.
Così acquista un Fiat 115 e lavora nell'ambito dell'Italia settentrionale, trasportando merci varie: materiali per falegnamerie e fabbri, piccoli traslochi di emigranti. "Allora molta gente si trasferiva dalla campagna alla città. In un solo anno, io e mio marito abbiamo portato le masserizie di 84 emigranti di Governolo", afferma.
In trent'anni percorre centinaia di migliaia di chilometri. Ma nel 1980 il marito accusa problemi di salute e a malincuore decidono di cambiare attività, rilevando la gestione di un ristorante. Che, naturalmente, è molto frequentato dai camionisti. Oggi sono entrambi in pensione, ma Nora ha mantenuto l'energia di un tempo. E la passione verso il suo lavoro: "La nostalgia della cabina non mi è mai passata e ancora oggi mi piace guardare i camion. Era un mestiere veramente duro, specialmente per una donna con famiglia. Ma tornerei subito a farlo".
Michele Latorre
Da Noi Camionisti marzo/aprile 2004
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