Secondo gli inquirenti, l'organizzazione riusciva a contrabbandare benzina e gasolio dalla raffineria con la complicità di personale interno e di alcuni camionisti. In pratica, era segnato sulla documentazione ufficiale un volume di carburante minore rispetto a quello effettivamente caricato sulle autocisterne, vendendo la parte non registrata in nero, tramite alcune stazioni di servizio compiacenti. Alla chiusura dell'inchiesta, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per ventuno persone.
Al centro dell'organizzazione ci sarebbero due dipendenti della CTS, responsabili del piazzale di Livorno, un dipendente della Siti.cem Maintenance e quattro autisti. Queste persone hanno subito le accuse più rilevanti, compresa l'associazione per delinquere. Secondo il capo d'accusa, gli autotrasportatori si scambiavano informazioni per evitare i controlli ispettivi e per condividere le stazioni di servizio dove vendere il carburante rubato. Inoltre, avrebbero manomesso i contalitri delle autocisterne.
La complicità dei responsabili di piazzale sarebbe stata acquisita con denaro, ma anche con buoni per la benzina. La loro collaborazione era necessaria per alterare i piani di carico e caricare sui camion il carburante non contabilizzato. Inoltre, gli inquirenti ritengono che il prodotto ottenuto illecitamente sarebbe stato stoccato nei depositi della CTS, dove avvenivano anche le operazioni di trasbordo.
Diciassette autotrasportatori sono indagati per appropriazione indebita continuata, non solo per avere contribuito al trasporto del carburante in nero, ma anche per averlo usato per i loro stessi automezzi. Riuscivano a farlo con una manomissione che consentiva di aprire la valvola di carico per introdurre nella cisterna tubi per asportare il carburante eludendo i sigilli metrici.
Lo stesso impianto di Livorno è finito a novembre nel fascicolo di un'altra indagine avviata dalla Procura di Prato. In questo caso, la sottrazione di carburante - si parla di ben sessanta milioni di litri - sarebbe avvenuta dall'oleodotto che connette la raffineria Eni con i depositi di Calenzano. Tra i ventotto inquisiti, ci sono anche due ex direttori della raffineria toscana, il direttore delle spedizioni e quello della gestione operativa, ma anche tre dipendenti della Camera di Commercio, che avrebbero omesso i controlli agli strumenti di misura di Calenzano, e due dipendenti dell'Agenzia delle Dogane, che avrebbero falsificato i verbali di verifica.
L'asportazione del carburante dall'oleodotto sarebbe avvenuta, banalmente, praticando un foro nell'oleodotto e "aspirando" il carburante quando l'impianto era a bassa pressione. Il sistema per mascherare la frode era meno semplice: prevedeva la manomissione dei sigilli dei misuratori fiscali nel deposito di Calenzano (che rifornisce i distributori della Toscana e di parte del Nord Italia) e la modifica al software di gestione. In questo modo, il carburante spariva senza lasciare traccia nella documentazione. Gli inquirenti hanno scoperto la frode dopo avere rilevato perdite dalla pipeline nella zona di Pontedera.
Il deposito di Calenzano è fiscale, ossia il carburante arriva senza accisa ed esce con il prezzo gravato dall'imposta. Contrabbandandolo, era possibile lucrare sulla differenza tra presso industriale e quello alla pompa. Ora, l'inchiesta prosegue per scoprire la rete logistica per la distribuzione e vendita del prodotto.
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