Mano a mano che le nuove regole sull’autotrasporto internazionale previste dal Primo Pacchetto Mobilità entrano in vigore, sale la mobilitazione degli autotrasportatori che si sentono penalizzati. Uno dei prossimi provvedimenti è l’obbligo del rientro periodico nel Paese d’immatricolazione dei veicoli industriali e nella loro sede degli autisti, che penalizza sopratutto le imprese dell’Est. E proprio le associazioni dell’autotrasporto di sei di questi Paesi - Bulgaria, Croazia, Lituania, Polonia, Romania e Ungheria – hanno scritto il 31 gennaio 2022 alla Commissaria europea ai Trasporti, Aleina Valean, di sospendere tale obbligo perché causerebbe effetti negativi sia sul funzionamento dell’autotrasporto, sia per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale.
Le associazioni affermano che le imprese dei loro Paesi dovranno affrontare per tale norma costi superiori che variano dagli 800 milioni di euro degli ungheresi ai 6,21 miliardi dei polacchi. In concreto, aggiungono, ogni giorno migliaia di camion – per esempio 4500 polacchi, 2400 bulgari e mille lituani – dovranno rientrare nel Paese di origine vuoti o con carichi parziali, attraversando il territorio di altri Stati, aumentando l’inquinamento e riducendo la produttività in una fase di carenza di veicoli e aumento di costi.
Le siglie chiedono quindi l’abrogazione dell’obbligo di rientro per i veicoli industriali. Sulla questione del rientro degli autisti pende un ricorso alla Corte Europea di Giustizia, che però non si pronuncerà prima di un anno, quindi le associazioni chiedono alla Commissaria ai Trasporti di sospendere l’applicazione della norma almeno fino alla sentenza.