Secondo gli inquirenti, l'organizzazione sgominata dall'operazione Pupi di Pezza avrebbe permesso a diversi gruppi familiari d'imprenditori siciliani di non pagare imposte per ben 220 milioni di euro, eludendo anche le relative procedure esecutive e concorsuali. Al centro di questa frode c'era uno studio che associava quattro commercialisti e che hanno iniziato ad attuarla dal 2013. Questi commercialisti si rivolgevano ad aziende che avevano un elevato deficit finanziario, costituito soprattutto dal mancato pagamento d'imposte, e proponevano loro un metodo per eludere le procedure fallimentari. Il primo passo era porre in liquidazione l'azienda, affidando il ruolo di liquidatore a una persona di fiducia dello studio di commercialisti, che non necessariamente aveva le capacità professionali per esercitare quest'attività.
Dopo questa nomina, il liquidatore spostava liquidità (tramite indebiti pagamenti preferenziali) e gli asset più importanti della società da liquidare a società "specchio", ossia costituite dagli stessi amministratori dell'azienda in liquidazione, che avevano la stessa ragione sociale, la stessa attività, gli stessi dipendenti, gli stessi clienti e gli stessi fornitori. Lo scopo era di salvare così gli elementi patrimoniali attivi nella nuova società, lasciando in quella vecchia solo i passivi verso l'Erario. Dopo essere stata svuotata, la società era liquidata e cancellata dal registro delle imprese, contando sul fatto che dopo un anno dalla liquidazione il pubblico ministero non può più chiederne il fallimento.
L'inchiesta della Procura di Catania ha coinvolto diverse società, operanti in diversi settori (ortofrutticolo, vivaistico, commercio d'abbigliamento) ma anche due di autotrasporto. Una è la Prima Autotrasporti con sede a Paternò, in liquidazione dal 2015 e dichiarata fallita nel febbraio 2018. "Nel 2011 il conseguimento di una perdita d'esercizio determinava l'azzeramento del capitale sociale e poneva la Prima Trasporti in uno stato evidente d'insolvenza", scrive la Procura in una nota, aggiungendo che la sua amministratrice, finita agli arresti domiciliari, "proseguiva l'attività d'impresa aggravando il dissesto e sottraendosi al pagamento dei debiti erariali superiori a due milioni di euro".
Grazie al meccanismo delle società specchio, negli anni precedenti la liquidazione i commercialisti catanesi sono riusciti a spostare commesse, camion, avviamento e portafoglio di fornitori e clienti alla seconda società di autotrasporto implicata nell'inchiesta, la Gali Group di Ispica (Ragusa), di cui rappresentante legale era la cognata dell'amministratrice della Prima Autotrasporti. Al termine dell'inchiesta, la Gali Group è stata sequestrata dalla Procura.
© TrasportoEuropa - Riproduzione riservata - Foto di repertorio
Segnalazioni, informazioni, comunicati, nonché rettifiche o precisazioni sugli articoli pubblicati vanno inviate a: redazione@trasportoeuropa.it
Puoi commentare questo articolo nella pagina Facebook di TrasportoEuropa
Vuoi rimanere aggiornato sulle ultime novità sul trasporto e la logistica e non perderti neanche una notizia di TrasportoEuropa? Iscriviti alla nostra Newsletter con l'elenco ed i link di tutti gli articoli pubblicati nei giorni precedenti l'invio. Gratuita e NO SPAM!