La Corte di Giustizia Europea ha approvato il ricorso della Commissione Europea contro l’Italia per il superamento “continuato e sistematico” dei valori di PM10 nell’aria di alcune zone del Paese, un fenomeno che “è ancora in corso”. La condanna viene dalla sentenza emessa dalla Corte il 10 novembre 2020, che stabilisce che l’Italia “è venuta meno all’obbligo sancito dal combinato disposto dell’articolo 13 e dell’allegato XI della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (GU 2008, L 152, pag. 1)”.
La sentenza aggiunge che il Governo italiano “non ha adottato a partire dall’11 giugno 2010 misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per il PM10 in tutte tali zone, è venuta meno agli obblighi imposti dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, da solo e in combinato disposto con l’allegato XV, parte A, di tale direttiva e, in particolare, all’obbligo previsto dall’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, di detta direttiva, di far sì che il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile”.
La vicenda è iniziata nel 2014, quando la Commissione Europea ha messo in mora l’Italia. Quindi, il Governo italiano ha chiesto una proroga, che è stata concessa. Nel 2016, la Commissione ha inviato una lettera di messa in mora complementare, che comprende altre zone rispetto a quelle indicate nel 2014. Non avendo ottenuto risposte ritenute soddisfacenti, la Commissione ha avviato nel 2018 il ricorso alla Corte di Giustizia.
Nella discussione della causa, i rappresentanti dell’Italia hanno affermato che i valori di PM10 si stanno riducendo e che raggiungeranno i limiti previsti dalla normativa comunitaria e che l’inquinamento non dipende solo da provvedimenti nazionali, ma anche da quelli comunitari. Quindi, secondo l’Italia “la Commissione non fornisce la prova che il superamento dei valori limite fissati dalla direttiva 2008/50 sia imputabile all’insufficienza dei piani per la qualità dell’aria di cui trattasi. Se tale istituzione non fosse tenuta a fornire detta prova, ciò equivarrebbe a rendere lo Stato membro interessato responsabile automaticamente o a titolo di responsabilità oggettiva, il che non sarebbe ammissibile”. I rappresentanti italiani hanno anche opposto questioni tecniche sul calcolo della concentrazione del PM10.
La Corte ha però riconosciuto valide le repliche della Commissione Europea, ritenendo infondate le considerazioni italiane. I giudici scrivono che i piani per la qualità dell’aria presentati da alcune Regioni sono arrivati in ritardo o non contengono indicazioni sul termine previsto per raggiungere i limiti comunitari oppure hanno termini troppo lunghi. Inoltre, i giudici affermano che “la Repubblica italiana non ha manifestamente adottato in tempo utile misure appropriate che consentano di garantire che il periodo di superamento dei valori limite fissati per il PM10 fosse il più breve possibile nelle zone e negli agglomerati interessati. Pertanto, il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per il PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni in dette zone, nonostante l’obbligo incombente a tale Stato membro di adottare tutte le misure appropriate ed efficaci per conformarsi al requisito secondo cui il periodo di superamento deve essere il più breve possibile”.
SENTENZA CORTE GIUSTIZIA EUROPA DEL 10 NOVEMBRE 2020 SU SUPERAMENTO LIMITI PM10 IN ITALIA