Un comune controllo su strada attuato dalla Guardia di Finanza di Sora su un'autocisterna di carburate ha attivato un'indagine internazionale su una frode fiscale sul carburante che ha coinvolto un'azienda italiana che ha venduto solo formalmente prodotti petroliferi in tutta Italia. Secondo gli inquirenti, questa impresa avrebbe prodotto fatture false per 471 milioni di euro che le hanno permesso di evitare il pagamento di cento milioni d'Iva. Questa società ha usato come "cartiera" un'impresa con sede a Budapest, in Ungheria, ma costituita da un cittadino italiano. La società ungherese aveva il solo compito di emettere fatture per operazioni insistenti alla sua stabile organizzazione italiana, che aveva sede a Roma e che impiegava una sola persona che produceva fattura gravate d'Iva per la vendita, mai realmente avvenuta, di carburanti a diverse imprese italiane, permettendo loro di detrarre l'Iva. In realtà il prodotto arrivava in nero da un altro fornitore. Il finto cliente versava effettivamente il denaro, compresa l'Iva, alla società cartiera, che però non versava l'imposta allo Stato annullando il debito tramite altre fatture per operazioni inesistenti.
Questo complesso schema ha favorito tutti i partecipanti: la società cartiera tratteneva l'Iva non versata e le imprese che formalmente erano sue clienti hanno acquisito un illecito credito d'Iva, oltre a acquistare il carburante a un prezzo ridotto. Il profitto generato dalla cartiera, che ha prodotto fatture per un paio di anni, era girato in una banca ungherese. Per confondere ulteriormente le tracce, il cittadino italiano che ha fondato la società ungherese ha ceduto le sue quote a un finto acquirente sloveno. La complessa indagine della Finanza ha comunque individuato sia l'amministratore di diritto, sia quello di fatto della società cartiera, denunciando tre persone: un italiano di 33 anni originario della Campania, che era l'amministratore di fatto della società, e due persone considerate prestanome, una italiana e l'altra slovena.
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