Con la sentenza emessa l’11 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente un lungo procedimento giudiziario, a dodici anni dall’avvenimento che lo ha causato. La Suprema Corte ha confermato tutte le condanne per l’incidente del viadotto Acqualonga, avvenuto il 28 luglio 2013 sull’autostrada A16 Napoli-Canosa, in cui persero la vita quaranta persone e altre otto rimasero ferite. La tragedia, causata dalla caduta di un autobus da un’altezza di oltre trenta metri nei pressi di Monteforte Irpino, rappresenta il più grave incidente stradale avvenuto in Italia e uno dei più gravi in Europa.
Dopo quasi dodici anni di processi, la Quarta sezione penale della Cassazione ha respinto i ricorsi delle difese, rendendo definitive le pene emesse dalla Corte d’Appello di Napoli nel settembre 2023. Tra i condannati figura l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, assolto in primo grado ma ritenuto colpevole in appello. Dovrà scontare sei anni di reclusione per disastro colposo e omicidio colposo. La sentenza riguarda anche altri dirigenti, tecnici e funzionari legati ad Autostrade per l’Italia e alla Motorizzazione Civile, nonché il proprietario del bus, Gennaro Lametta. Le pene confermate variano dai tre ai nove anni di reclusione, a seconda delle responsabilità individuali accertate nel corso dell’istruttoria.
La sera dell’incidente, un autobus turistico con a bordo 48 persone di ritorno da una gita a Pietrelcina, percorreva l’A16 in direzione Napoli. Dopo il casello di Avellino, il giunto cardanico dell’albero di trasmissione si ruppe, danneggiando l’intero impianto frenante. Il mezzo divenne incontrollabile, urtò diverse automobili ferme nel traffico e, dopo un percorso di circa un chilometro senza possibilità di arrestarsi, finì contro le barriere di protezione del viadotto Acqualonga. Le barriere cedettero, e il bus precipitò nel vuoto.
L’inchiesta ha messo in luce un quadro inquietante di incuria e omissioni. Le perizie tecniche hanno evidenziato che le barriere del viadotto erano in condizioni compromesse da tempo e che, se fossero state mantenute in perfetto stato di efficienza, la tragedia si sarebbe potuta evitare. È emersa una colpevole inerzia da parte di chi era tenuto a controllare e garantire la sicurezza dell’infrastruttura. Al tempo stesso, è stata accertata la responsabilità del proprietario dell’autobus, che aveva messo in circolazione un veicolo con certificato di revisione falso, non sottoposto a controlli dal 2011 e privo dei requisiti minimi di sicurezza.
La sentenza della Cassazione ha suscitato forti reazioni. Il Comitato dei parenti delle vittime del ponte Morandi ha espresso pieno apprezzamento per la decisione, sottolineando come sia finalmente emersa la verità su un sistema di manutenzione inefficace, compromesso da gravi carenze tecniche e gestionali, e mosso dalla logica del risparmio a discapito della sicurezza. Di segno opposto la posizione dei legali di Giovanni Castellucci e di altri due condannati che hanno dichiarato di rispettare la decisione pur definendola “incomprensibile”, ribadendo la convinzione dell’estraneità del loro assistito ai fatti contestati. I difensori hanno annunciato che utilizzeranno ogni strumento previsto dalla Legge per cercare di ottenere il riconoscimento della sua innocenza.