L'assedio all'Ilva da parte degli autotrasportatori è durato quaranta giorni, in cui i presidi davanti agli stabilimenti dell'industria siderurgica hanno notevolmente ridotto – e in qualche caso interrotto – l'afflusso di materie prime e l'uscita dei prodotti finiti. Lo scopo di questa dura protesta era ottenere i credici accumulati negli ultimi mesi, che ammontano complessivamente a circa venti milioni di euro.
Il primo passo è avvenuto ieri con l'incontro tra Anita e Unatras con i tre commissari straordinari dell'Ilva, che ha portato ad un accordo per la ripresa dell'attività. Ma per giungere allo scioglimento dei blocchi era necessario anche il consenso dei rappresentanti dei vettori tarantini, che hanno chiesto un incontro separato, avvenuto oggi. Dopo l'incontro è si è svolta un'assemblea, che ha deciso di sciogliere il presidio al varco C dello stabilimento.
Però, questa pare solo una tregua, perché gli autotrasportatori di Taranto lasciano un mese per trovare una soluzione sui crediti pregressi, poi i blocchi potrebbero ricominciare. L'avvio dell'autotrasporto permette all'Ilva di svolgere le consegne ai clienti, svuotando i magazzini dal materiale che si è accumulato in queste settimane, e di riprendere la produzione, grazie all'arrivo delle materie prime. Per quanto è possibile, perché nel frattempo lo stabilimento di Taranto ha fermato l'altoforno 1 (che ripartirà ad agosto), per i lavori di adeguamento ambientale, e dal 19 marzo toccherà al 5.
L'Ilva è anche bloccata sul versante marittimo, ma non per proteste, quanto per i fermi amministrativi attuati dal magistrati su richiesta dei creditori. Il sei febbraio è stata fermata al porto di Ravenna la Corona Australe, un rimorchiatore che opera al porto di Venezia, su richiesta di una società veneta.
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