Ci sono voluti due anni d’indagine per scoprire il meccanismo di una colossale frode sui carburanti dal valore di cento milioni di euro. Al termine dell’operazione, battezzata Grifo Fuel, la Guardia di Finanza di Perugia e di Legnano hanno eseguito tre arresti di persone considerate gli organizzatore di una frode carosello internazionale e il sequestro di beni per 110 milioni di euro. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Perugia, ha coinvolto 50 persone e 33 società. Il lavoro degli inquirenti è iniziato dopo un controllo fiscale nei confronti di un’azienda umbra che opera nel commercio di carburante, da cui sono emersi rapporti commerciali ritenuti anomali dagli inquirenti con numerose società in tutta Italia.
È cominciata così una ricostruzione dei rapporti e delle transazioni tra queste società, che ha portato alla scoperta di un giro di fatture false per oltre cento milioni. Il meccanismo della frode consisteva nella creazione di società di brokeraggio, formalmente appartenenti a prestanome, per costituire altre società cartiere con sede in Campania, Lazio, Lombardia e Molise che si accollavano l’Iva da pagare, ma che non era poi versata all’Erario. Da questo primo filone investigative ne è partito un altro, che ha svelato un vorticoso giro di fatture false per un ammontare di 700 milioni relative alla vendita in Italia di prodotti petroliferi di origine comunitaria.
A questo punti gli investigatori hanno ricostruito la catena di approvvigionamento internazionale e poi hanno svelato i meccanismi di riciclaggio dei capitali. Sono così emerse altre due società di brokeraggio che usavano società cartiere con sede in Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria e Lombardia. Tali società avevano lo scopo di porsi come intermediari tra i fornitori esteri e i concessionari italiani e di raccogliere l’Iva da pagare, che anche in questo caso non è mai stata versata. Questo meccanismo ha permesso di vendere il carburante a prezzi inferiori a quelli di mercato.
Per attuare la frode, l’organizzazione ha usato diverse procedure. Quella più usata sfruttava la possibilità di applicare l’Iva nel Paese di destinazione (ossia l’Italia) nel caso di acquisti in ambito comunitario e poi non versarla all’Erario, ma distribuendola nell’organizzazione. In altri casi la società cartiera non acquistava il carburante direttamente da un fornitore comunitario ma si dichiarava esportatore abituale, in assenza dei requisiti, per acquistare carburante da un fornitore nazionale presentando una dichiarazione d’intento. Tale dichiarazione attesta l’intenzione di avvalersi della facoltà di svolgere acquisti o importazioni senza applicare l’Iva.
L’organizzazione riciclava il denaro ricavato dalla frode tramite conti correnti aperti in Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca e Slovenia, oppure li trasferiva, tramite gli amministratori di fatto delle società cartiere, in attività economiche e imprenditoriali che controllavano, alcune delle quali con sede all’estero.