La Procura di Catania sta lavorando a questo fascicolo da almeno un anno e in questo periodo la Finanza avrebbe documentato almeno trenta viaggi di bettoline che hanno portato dalle coste libiche a quelle siciliane 80 milioni di chili di gasolio, per un valore di 30 milioni di euro. Tra gli arrestati ci sono l'amministratore delegato della Maxcom Bunker, un catanese ritenuto affiliato alla cosca mafiosa Ercolano e due maltesi.
Secondo gli inquirenti, il gasolio sarebbe stato illegalmente prelevato dalla raffineria dell'ente nazionale libico National Oil Corporation per poi essere trasportato in Italia. Una volta giunto in Sicilia, il gasolio era miscelato in alcuni depositi fiscali ad Augusta, Civitavecchia e Venezia e poi veduto nella rete distributiva italiana, ma anche francese e spagnola.
Gli inquirenti sospettano che una parte del petrolio usato per produrre il gasolio di contrabbando possa essere giunto in passato anche da pozzi controllati dall'Isis. Il petrolio sarebbe giunto dalla Siria alla Turchia in autobotti e acquistato da broker, che poi lo riversavano su petroliere russe o turche, che a loro volta lo travasavano su bettoline al largo di Malta. Durante queste operazioni, le navi avevano disattivato il transponder, ossia l'apparecchio che ne consente il tracciamento.
Nel traffico sarebbe coinvolta anche la mafia italiana, che da tempo è interessata al contrabbando di carburanti tramite società costituite all'estero e accreditate in Italia come esportatori abituali, così da non pagare Iva e accise del prodotto formalmente in transito. In realtà, gasolio e benzina sono venduti al mercato nero in Italia. Dopo un breve periodo di attività, le società di copertura sono chiuse e rimpiazzate da altre nuove. L'operazione annunciata il 19 ottobre 2017 dalla Guardia di Finanza si chiama Dirty Oil e conta complessivamente cinquanta indagati, tra cui nove tratti in arresto e tre ricercati.
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