La Corte di Cassazione ha recentemente discusso il ricorso relativo a un caso di falso ideologico legato alla gestione dei registri di frequenza nei corsi per il rinnovo della Carta di qualificazione del conducente. La vicenda ha coinvolto il titolare di una scuola guida e docente del corso, accusato di aver falsificato gli orari di ingresso e uscita dei partecipanti al corso, configurando così il reato previsto dall'articolo 479 del Codice Penale.
La sentenza numero 42566/2024, depositata il 20 novembre 2024, si distingue per i principi giuridici espressi e per le qualificazioni attribuite sia ai soggetti coinvolti sia ai documenti (come i registri di frequenza o fogli di presenza) utilizzati nei corsi Cqc, a prescindere dall’esito del procedimento (il reato è stato infatti dichiarato estinto per prescrizione). In sintesi, si contestava alla titolare/docente della scuola guida di aver attestato falsamente, nel registro di frequenza, un orario superiore a quello effettivamente svolto dai corsisti, i quali avevano controfirmato il documento.
La Cassazione ha sottolineato che il registro di frequenza assume la natura di atto pubblico, in virtù della natura pubblicistica dell’attività svolta dal titolare della scuola guida, trattandosi di corsi regolamentati da normative primarie e secondarie e finalizzati al rilascio di un attestato indispensabile per il rinnovo della Cqc. I giudici hanno evidenziato che la normativa vigente stabilisce l’obbligo di attestare la presenza degli allievi tramite registri numerati, vidimati dall’Ufficio della Motorizzazione, nei quali devono essere annotati la data, l’argomento della lezione, il nome del docente e le eventuali assenze (anche momentanee) dei partecipanti.
Nel quadro normativo di riferimento, la Cassazione ha ribadito che la nozione di atto pubblico, ai fini penali, è più ampia di quella prevista dall’articolo 2699 del Codice Civile, comprendendo anche atti redatti da soggetti non qualificati come pubblici ufficiali, purché dotati di rilevanza giuridica o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione. Per quanto riguarda i corsisti, la Corte ha escluso la sussistenza del dolo sulla base della sola mancata verifica del contenuto del registro. Tuttavia, ha evidenziato che, considerando la struttura stessa del foglio firme (che prevede spazi distinti per ingresso e uscita), e l’unicità dell’attestato di frequenza come requisito per il rinnovo della Cqc, vi fossero indici concreti di consapevolezza e volontarietà nella partecipazione alla falsificazione.
I giudici hanno quindi ritenuto plausibile l’esistenza di un accordo tacito tra la responsabile del corso e i corsisti, motivato anche dall’interesse diretto di questi ultimi a ottenere l’attestato con meno ore effettive di frequenza. Inoltre, è stata considerata infondata la giustificazione secondo cui la lezione sottoposta a controllo dalla Polizia fosse l’ultima del corso, e la Corte ha ricordato che, ai fini del reato di falso ideologico, è sufficiente il dolo generico. Ciò significa che il reato sussiste anche in assenza dell’intenzione di nuocere, essendo sufficiente la consapevolezza della falsità dell’atto.
Infine, la Cassazione ha chiarito che la validità dell’atto (cioè il registro) non dipende dalla sua trasmissione all’ufficio competente né dalla sottoscrizione della docente, poiché si trattava di un documento già perfetto, conforme al modello normativo e regolarmente vidimato. In sintesi, la sentenza ribadisce l’importanza della formazione obbligatoria e mette in guardia contro comportamenti illeciti che, sebbene a volte sottovalutati, integrano reati di estrema serietà.
Avvocato Maria Cristina Bruni