Il 23 febbraio 2022 la Polizia di Salerno sequestrò beni per un valore complessivo di 200 milioni di euro al titolare del Gruppo Adiletta, attivo nell’autotrasporto e nella logistica. Il sequestro venne disposto dal Tribunale di Salerno Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ed eseguito in diverse parti d’Italia. Secondo gli inquirenti i beni sequestrati “sarebbero stati acquistati con denaro proveniente da reati fiscali commessi dall’imprenditore nel corso della sua attività, grazie alla complicità di familiari e persone compiacenti. L’uomo d’affari è accusato in particolare di fraudolenta sottrazione al pagamento delle imposte, utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta e intestazione fittizia di beni a terzi prestanome”.
Questa vicenda ha avuto un secondo tempo il 7 aprile, con un nuovo sequestro di 80 milioni che deriva da ulteriori indagini svolte dalla Polizia. Gli investigatori hanno scoperto che una delle società dell'imprenditore salernitano già sottoposte a sequestro possiede 800 veicoli, fra motrici e rimorchi, e venti immobili, quindi sottoposti anche loro a sequestro. L'inchiesta che ha causato questi provvedimenti è iniziata nel 2016 a carico di esponenti del clan camorristico Serino e la Polizia scrive in una nota che “hanno evidenziato la spiccata pericolosità sociale dell’imprenditore”. Il comunicato precisa che “lui rappresentava il perno di un complesso sistema economico-finanziario di natura criminale, finalizzato alla distrazione ed evasione fiscale di enormi somme di denaro. Tali condotte, nel corso degli anni, hanno consentito all’uomo di arricchirsi oltremodo attraverso un enorme risparmio di spesa ottenuto mediante l’omesso pagamento di debiti erariali”.
Il grande flusso di denaro gestito dall’imprenditore, pari a diversi milioni di euro, avrebbe in una prima fase finanziato lo sviluppo dell’impresa di autotrasporto, conquistando mercato con tariffe basse. “Successivamente sarebbe stata costituita una rete di aziende da avviare al dissesto, sulle quali scaricare i debiti derivanti dal mancato pagamento delle imposte da parte delle società attive che, in seguito, venivano svuotate attraverso il cambio della ragione sociale, lo spostamento della sede e la cessione di quote societarie a ridosso delle procedure di liquidazione”. Inoltre, proseguono gli inquirenti, “al fine di evitare accertamenti fiscali, l’imprenditore ha ceduto le sue quote societarie e le cariche ricoperte a dei prestanome, quasi sempre suoi congiunti, che eseguivano esclusivamente le sue direttive.