Il 18 aprile 2023 si è concluso il processo di primo grado partito dall’indagine Jukebox, svolta dal 2014 al 2016 dalla Polizia Stradale di Arona nei confronti della Maifredi Autotrasporti di Castelletto Ticino, in provincia di Novara. Il processo iniziò nell’ottobre 2021 con tre imputati per reati connessi allo sfruttamento degli autisti, che secondo gli inquirenti erano costretti a violare sistematicamente le norme sui tempi di guida e di riposo, con turni fino a venti ore. Nella requisitoria, la pubblico ministero Silvia Baglivo chiese complessivamente diciotto anni di carcere, mentre i magistrati novaresi del primo grado ne hanno comminati sette e mezzo.
I reati su cui si è disputato il processo erano, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla rimozione di cautele contro gli infortuni sul lavoro ed estorsione, ma il secondo è stato escluso dalla sentenza perché il fatto non sussiste. La condanna maggiore è stata comminata a Gigliola Plebani, che all’epoca dei fatti era l’amministratrice della società ed è ritenuta dagli inquirenti a capo dell’organizzazione: ha avuto quattro anni, a fronte degli otto chiesti dal pubblico ministero.
Suo figlio Maurizio Maifredi era accusato di avere cancellato o manipolato le tracce sulle violazioni, compresi i dati del cronotachigrafo. Ha avuto due anni con la condizionale, a fronte dei sei chiesti dalla pubblico ministero. Il terzo imputato era Massimo Ghidoni, amministratore unico di una cooperativa che reclutava gli autisti, che ha avuto un anno e mezzo, contro i quattro anni chiesti dall’accusa.
L’indagine Jukebox individuò una ventina di autisti vittime dello sfruttamento, una parte dei quali erano parte civile nel processo, ottenendo una provvisionale di tremila euro ciascuno. Gli inquirenti rilevarono che furono costretti a superare le ore di guida con pressioni e minacce, causando anche alcuni incidenti. Per mostrare la regolarità del lavoro, vennero manipolati i dati del cronotachigrafo. La difesa ha replicato che gli imputati della Maifredi non potevano essere responsabili, perché gli autisti dipendevano da cooperative esterne e che non vi sono state minacce, nonostante le testimonianza di alcuni autisti.