Il commercio di carburanti torna al centro dell’attenzione per una operazione condotta dalla Guardia di Finanza il 26 marzo 2025, che ha portato al sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di 112 milioni di euro. L’intervento, coordinato dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e condotto dal nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caserta, ha svelato un’articolata frode all’imposta sul valore aggiunto, con risvolti che interessano l’intera filiera della vendita di prodotti petroliferi.
Secondo quanto ricostruito nella fase preliminare delle indagini, il sistema si basava sull’impiego di società cartiere e "filtro", formalmente intestate a prestanome e prive di una reale operatività, che acquisivano carburante in esenzione d’imposta per poi rivenderlo, attraverso un complesso giro di fatturazioni, a società reali operanti sul mercato. Il carburante, acquistato a prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato, veniva infine distribuito ai consumatori attraverso una rete di circa trecento stazioni di servizio in tutta Italia.
La frode si articolava in due modi. Il primo, in uso tra il 2018 e il 2019, sfruttava una specifica previsione della Legge di Stabilità del 2018 che consentiva l’esenzione dal versamento immediato dell’Iva a determinate categorie di soggetti ritenuti “affidabili”. Le società coinvolte nella frode si presentavano come tali, pur non avendone i requisiti: erano infatti intestate a soggetti già noti per precedenti fiscali, senza alcuna struttura o disponibilità patrimoniale. Il prodotto acquistato in esenzione veniva poi ceduto attraverso false fatturazioni a distributori stradali che non adempivano agli obblighi fiscali.
Il secondo sistema, attivo tra il 2019 e il 2021, si fondava sull’uso fraudolento delle dichiarazioni d’intento. Tali dichiarazioni, previste per gli esportatori abituali, venivano falsamente presentate da società cartiere per ottenere la non imponibilità dell’Iva sulle cessioni di carburante. Anche in questo caso, i requisiti richiesti dalla normativa in materia di accise erano solo dichiarati, ma mai effettivamente posseduti.
Un ulteriore elemento chiave della frode era la programmata scomparsa delle società intermediarie: una volta esaurita la loro funzione nel meccanismo di evasione, venivano poste in liquidazione o chiuse per cessata attività, prima che potessero essere richieste le dichiarazioni annuali e i relativi versamenti d’imposta. In questo modo, è stato possibile immettere sul mercato circa 600 milioni di litri di gasolio e benzina, con un’evasione d’imposta che sfiora i 113 milioni di euro.
Le società acquirenti del carburante, grazie a questo schema, hanno potuto ridurre la propria base imponibile avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti per un valore complessivo superiore ai 200 milioni di euro. Questo ha permesso loro non solo di risparmiare sulle imposte, ma anche di offrire sul mercato prezzi concorrenziali, alterando in modo significativo le dinamiche del libero mercato e penalizzando gli operatori onesti del settore.