Anche il trasporto ferroviario merci, come tutto il comparto economico, si trova a fare i conti con l’aumento dei costi energetici. A pagare il prezzo maggiore sono quelle imprese ferroviarie impegnate nei trasporti transfrontalieri in quanto in diversi Paesi europei i costi per l’energia di trazione sono raddoppiati o addirittura triplicati. Il risultato è un aumento dei prezzi che non può essere recuperato ottimizzando ulteriormente la gestione e che sta mettendo a dura prova la competitività del trasporto su ferro, soprattutto quello intermodale.
Tra i primi a porre pubblicamente la questione e chiedere di intervenire è stato Michail Stahlhut, Ceo del Gruppo Hupac, in occasione della presentazione dei risultati del 2021. “I costi energetici del trasporto merci su rotaia dovrebbero essere valutati in termini macroeconomici”, ha osservato Stahlhut. “Possiamo realizzare la svolta verde solo con prezzi competitivi. Un contributo per i costi di trasmissione dell’elettricità, cioè la componente di prezzo per gli impianti dell’energia ferroviaria e delle linee aeree, servirebbe a mitigare la situazione attuale e manderebbe un segnale importante al mercato”.
Le imprese ferroviarie non sono al riparo dall’aumento dei costi dell’energia per il semplice motivo che il costo della traccia per l’utilizzo della rete non è un prezzo chiuso determinato periodicamente ma evidenzia la componente dell’energia e su questa Rfi, gestore della rete, può intervenire con la richiesta di adeguamenti. Ed è quello che è avvenuto a partire dall’autunno 2021. Fino ad allora le imprese pagavano 0,30 euro a chilometro che corrispondeva circa al 15% del costo chilometrico della traccia. Rfi ha presentato il nuovo conto, elevando la componente elettrica fino a 0,80 euro a chilometro. Inoltre, secondo quanto risulta, avrebbe anche avanzato delle richieste di conguaglio delle tariffe a partire dal 2015.
Queste iniziative ovviamente non sono state accolte supinamente dalle imprese ferroviarie, molte delle quali impegnate soprattutto nel trasporto merci, se si escludono società passeggeri come Trenitalia che di fatto gioca in casa o partecipate come Trenord. E su loro richiesta si è aperto un tavolo di discussione con Rfi, tuttora in corso, per trovare una soluzione che non sia tampone o provvisoria, ma strutturale. Per esempio, la revisione periodica delle tariffe potrebbe avvenire all’interno di un accordo quadro con il quale si determina fin dall’inizio la dinamica dei costi. Sulle reti estere esistono diversi criteri di calcolo, tra i quali anche quelli a consumo, che offrono la possibilità di pagare il dovuto in modo molto trasparente.
C’è però da dire che in Italia le tariffe elettriche in ferrovia non sono particolarmente onerose, in quanto il prezzo storicamente è calmierato. Questo dipende da un fatto particolare: fino al dicembre 2015 le Ferrovie dello Stato disponevano di una propria rete elettrica ad alta tensione costituita da ben 8400 chilometri di elettrodotti. Ai primi di dicembre di quell’anno il gruppo Fs ha ceduto a Terna tutta la propria rete per un valore di 757 milioni di euro, insieme a un accordo sulla determinazione delle tariffe dell’energia che da quel momento in poi viene acquistata dal gestore nazionale.
Piermario Curti Sacchi