Finora rimaste alla finestra, anche le ferrovie italiane guardano con interesse all’alimentazione a idrogeno come alternativa a quella a gasolio. Anche se è assolutamente prematuro parlare di un treno a idrogeno tricolore in corsa sulla rete italiana, il gruppo Fs e la Snam hanno sottoscritto un protocollo per valutare la fattibilità tecnico-economica di questa alimentazione alternativa. Ovviamente i risultati non arriveranno a breve. Chi ci crede è invece la Germania che dopo aver acquisito da Alstom quattordici esemplari della famiglia iLint, convogli regionali alimentati da una cella a combustibile, ha avviato la costruzione della prima stazione al mondo per il rifornimento dell’idrogeno. I lavori a Bremervoerde, nella Bassa Sassonia, partiti a settembre 2020, saranno conclusi entro la metà del 2021. La stazione avrà una capacità produttiva di 1600 kg di idrogeno al giorno e rifornirà tutti i treni con un raggio d’azione fino a 1000 km.
Si entra dunque in una nuova era, quella dei treni a idrogeno che manderanno definitivamente in rimessa i convogli diesel? È presto per dirlo e resta da fare ancora qualche conto sulla loro opportunità come lascia intendere anche l’accordo Fs-Snam. Per ora c’è uno studio pubblicato a luglio 2020 da parte della VDE, vale a dire l’associazione delle imprese elettroniche ed elettrotecniche tedesche. Occorre subito dire che la ricerca non svela il quesito principale: meglio il diesel o spazio all’idrogeno? La risposta può arrivare, ma solo alla fine, per deduzione. Il confronto, un po’ partigiano vista la fonte, mette a confronto i costi d’esercizio tra un elettrotreno tradizionale che capta la corrente dalla linea aerea attraverso il pantografo e un treno alimentato a batteria. Lo studio sostiene che i costi sono sostanzialmente analoghi. Ma occorre anche dire che i treni a batteria costituiscono solo una nicchia essendo rappresentati esclusivamente da locomotori da manovra (ma a essere precisi si tratta di ibridi), anche se in rapido sviluppo, vedi i 50 esemplari ordinati a Toshiba dalle DB e anche la più ricca commessa delle russe RZD, accanto alle piccole flotte delle svizzere Retica e MGB.
Il confronto concluso con un pareggio, consente di lasciare da parte i convogli a batteria e considerare solo quelli elettrici classici. E qui l’analisi VDE considera le unità alimentate a idrogeno per sostenere che sono meno convenienti e meno efficienti, essendo fino al 35% più costose da acquistare, utilizzare e mantenere rispetto a un treno elettrico tradizionale. Secondo la ricerca, per raggiungere la sostenibilità ambientale occorrerebbe usare idrogeno generato elettroliticamente da elettricità fornita da fonti rinnovabili, ma con un’efficienza produttiva inferiore all’80%: per questo motivo l’idrogeno elettrolitico costa di più dell’energia elettrica e a bordo del treno la conversione in elettricità ha un’efficienza inferiore al 70%. Inoltre, occorre considerare l’onere delle celle a combustibile che hanno ancora una vita relativamente breve.
Lo studio VDE dunque non offre una risposta definitiva nella scelta del tipo di alimentazione in quanto manca un’analisi comparata con la trazione termica, ma se un confronto risulta così netto tra l’alimentazione elettrica e quella a idrogeno si può supporre che l’ordine di grandezza resti abbastanza analogo con i treni a gasolio. Questi ultimi da parte loro stanno conoscendo una seconda giovinezza con le più recenti versioni ibride e bimodali, ormai contemplate in tutti gli ordini delle imprese ferroviarie.
Piermario Curti Sacchi