Capsule supersoniche in grado di raggiungere i 1200 km l’ora, infrastrutture innovative da pensare e realizzare dal nulla, una rivoluzione per il trasporto passeggeri, ma senza trascurare anche le merci. È questo quanto promette un progetto visionario conosciuto con il nome di Hyperloop, che ciclicamente torna d’attualità facendo molto parlare di sé e dividendo i giudizi tra entusiasmo e scetticismo. L’ultima occasione, almeno in Italia, è stata quella di Bologna nel febbraio 2021 in cui è stata presentata la costituzione di un Dipartimento Tecnologie Hyperloop, curato da un advisor, la società Silaw che fin dall’inizio ha seguito l’iniziativa di Hyperloop Italia.
L'idea alla base di questa modalità di trasporto è quella di sfruttare la levitazione magnetica passiva per trasportare passeggeri e merci in capsule ultraleggere: spinte da magneti potrebbero così viaggiare riducendo quasi del tutto l'attrito. Questo consentirebbe al mezzo di raggiungere una velocità massima stimata fino al limite di quella del suono, con una media commerciale che potrebbe attestarsi sui 600 km l’ora. Il progetto proposto da Hyperloop Transportation Technology (HTT) fin dal 2013 ha sfruttato abilmente un’accurata presentazione mediatica con dovizia di dati e particolari proposti dagli stessi proponenti come mirabolanti. È sempre stato difficile però, se non impossibile, avere elementi di valutazione oggettiva e indipendente.
Ci ha provato l’Università tecnica di Delft, la maggiore e più antica università politecnica pubblica dei Paesi Bassi. L’analisi del Dipartimento trasporti e pianificazione porta la firma di quello che è stato a lungo il suo direttore, l’ingegner Ingo Hansen. Sono una ventina di pagine, fitte di analisi e considerazioni, dalla tecnologia utilizzata, ai costi, alla sostenibilità economica. Il confronto avviene tra le varie modalità, l’aereo (preferibilmente low cost), il treno ad alta velocità, il progetto Maglev, l’Hyperloop. La sintesi che se ne può trarre potrebbe essere rappresentata da un esempio, che lo studio non propone, ma viene spontaneo citare e condensa in modo chiaro il progetto Hyperloop: è come il Concorde che consentiva certamente rapidissimi spostamenti tra continenti, ma a tariffe assolutamente fuori mercato, consumi di carburante impressionanti e costi di manutenzione proibitivi. A tal punto che dopo 27 anni ha smesso di volare, per sempre, senza lasciare finora un erede.
Secondo l’analisi di Ingo Hansen, il progetto Hyperloop sottostima i costi e sovrastima i vantaggi. Tra i costi, per esempio, non vengono computati gli oneri per le aree dove realizzare l’infrastruttura, i costi burocratici delle autorizzazioni e l’eventualità di prevedere, rispetto ai viadotti standard di progetto, un’estensione maggiore delle gallerie necessarie per far passare il “tubo” senza impattare sul territorio e soprattutto sulle zone urbanizzate. Oltretutto più gallerie, significherebbe ridurre le superfici dove installare i pannelli solari, mettendo a rischio anche il bilancio energetico del sistema. I maggiori costi di realizzazione e di gestione finirebbero con il ricadere sulle tariffe, difficilmente a buon mercato.
E lo sta a dimostrare, un progetto analogo, lo Swissmetro, un collegamento passeggeri supersonico in galleria ipotizzato tra Berna e Zurigo, definitivamente accantonato nel 2002 perché economicamente insostenibile. Ma forse il limite maggiore di Hyperloop sta nella capacità: non essendo un treno articolato, ma una singola capsula pressurizzata, questa potrà ospitare al massimo una quarantina di passeggeri, in pratica un decimo di un Frecciarossa. Inoltre, seppur intrinsecamente sicuro, Hyperloop non analizza in dettaglio le possibili implicazioni di guasti o incidenti, diretti o indiretti, la cui considerazione farebbe ulteriormente lievitare i costi.
Piermario Curti Sacchi