Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede investimenti significativi sulle ferrovie ma per quanto riguarda il trasporto merci rischia di imboccare un binario tronco e deragliare. Il Piano, insieme al Fondo complementare che contempla risorse aggiuntive, ridisegna il panorama dei trasporti e della logistica in un arco di tempo che abbraccia i prossimi dieci anni con uno stanziamento di oltre 30 miliardi di euro. Ma i punti fermi a favore del trasporto ferroviario merci, almeno dal punto di vista delle infrastrutture, sono pochissimi.
Essenzialmente si tratta del completamento del Terzo Valico dei Giovi, opera comunque in avanzata fase di costruzione (con il corollario del quadruplicamento della Milano-Pavia), insieme con la linea di accesso al tunnel di base lungo il corridoio Verona-Brennero dove non vengono neppure contemplate tutte e tre le varianti prioritarie previste e non ancora finanziate, ma viene citata espressamente solo quella di Trento-Rovereto (non una parola su quelle di Bolzano e di Verona).
Accanto a queste opere possiamo inserire anche la nuova Napoli-Bari perché oltre a rappresentare un collegamento veloce per il servizio passeggeri potrebbe avere un interesse per il trasporto merci, ora irrilevante sulla linea storica per caratteristiche e tracciato.
A parte queste opere, il Pnrr trascura tutti gli itinerari significativi per le merci, come le linee di valico alpine, verso la Francia e soprattutto verso la Svizzera, dove la domanda è robusta oppure attende solo interventi infrastrutturali per alimentarla. In compenso, spinto dall’esigenza del resto legittima di valorizzare aree geografiche rimaste ai margini, il Piano punta l’attenzione sui corridoi verso il sud e sui collegamenti trasversali che per volumi di traffico appaiono quasi un azzardo anche per il servizio passeggeri, non parliamo per le merci.
La Orte-Falconara, la Roma-Pescara, la Salerno-Potenza-Metaponto-Taranto e la Salerno-Reggio Calabria, hanno scarsa utilità anche in prospettiva, non solo perché conoscerebbero comunque flussi di traffici limitati, ma soprattutto perché esistono già attualmente alternative idonee e funzionali. Da Roma a Pescara, per esempio, non c’è una domanda merci di qualche rilevanza e tanto meno è possibile ipotizzare una rottura di carico trasversale tra i porti di Civitavecchia e di Pescara.
Emblematico l’esempio della Salerno-Reggio Calabria che per renderla adatta al trasporto merci con pendenze necessariamente contenute si prevede di realizzare un corridoio completamente alternativo a quello attuale costituito da circa 160 km di gallerie per un costo, solo ipotizzato in quanto non c’è un progetto definito, di 23 miliardi di euro. Già oggi il porto di Gioia Tauro può essere raggiunto attraverso il corridoio adriatico-jonico adeguato in questi ultimi anni con interventi che hanno eliminato i precedenti vincoli di sagoma per i trasporti intermodali.
Insomma, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con l’intento di spostare l’asse degli investimenti verso il sud, rischia di essere solo una scommessa azzardata e soprattutto di impegnare ingenti risorse dai risultati tutt’altro che certi e certificabili. Appare logico mettere a confronto il Pnrr dal respiro futuribile con un documento di programmazione già approvato in sede parlamentare, come l’Allegato Infrastrutture 2020, dove sono delineati interventi più specifici e concreti per le merci, come il corridoio adriatico-jonico, la direttrice tirrenica in connessione con i porti, l’adeguamento della rete sugli itinerari principali in termini di sagoma e di binari di incrocio per i treni merci a standard europeo.
Piermario Curti Sacchi