Le ferrovie svizzere si trovano davanti a un bivio: devono stabilire quale strategia adottare per il traffico merci nei prossimi anni scegliendo tra due diverse ipotesi di sviluppo che, almeno sulla carta, non hanno alternative o non ammettono un “piano B”. Le due opzioni sono state indicate dal Consiglio Federale, vale a dire l’organo esecutivo di governo della Confederazione. All’inizio di novembre 2022 la più alta autorità elvetica ha stabilito di porre in consultazione due varianti: la prima prevede un aggiornamento delle attuali condizioni che regolano il traffico ferroviario merci, la seconda va verso una maggiore liberalizzazione del settore.
Dopo quasi dieci anni dall’ultimo aggiornamento delle condizioni di servizio, la Confederazione ritiene che sia giunto il momento di adeguare la politica ferroviaria alle mutate esigenze del mercato e soprattutto rilanciare la modalità ferroviaria anche in chiave ambientale. Ma se con la prima ipotesi, si tratta solo di aggiornare le regole attuali, con la seconda gli effetti potrebbero essere dirompenti. Questo perché la liberalizzazione comporta come conseguenza diretta una riduzione delle condizioni più favorevoli grazie alle quali la ferrovia riesce a essere competitiva.
Detto in sintesi a essere messo in discussione, e probabilmente a spingere fuori dal mercato, è il servizio di trasporto a carri completi isolati attualmente offerto da FFS Cargo, una tipologia di trasporto che continua a essere dispendioso dal punto di vista logistico e costoso per l’amministrazione ferroviaria. Il servizio è ben conosciuto: singoli carri provenienti da diversi binari di raccordo vengono riuniti per comporre treni completi verso gli scali di smistamento. E per le ferrovie tutto questo rappresenta una sfida finanziaria con importanti ricadute economiche.
La prima variante conferma e ammette un contributo finanziario indirizzato al trasporto a carri singoli isolati e prevede incentivi anche a favore delle tecnologie di trasbordo, favorisce la navigazione sul Reno e introduce un bonus sotto forma di indennità per i carichi ferroviari. I costi di questi provvedimenti per un periodo di quattro anni superano di poco i 600 milioni di euro al cambio attuale del franco, dopodiché si dovrebbe raggiungere un equilibrio finanziario solo attraverso le tariffe.
La seconda variante rinuncia al sostegno finanziario statale a favore del trasporto a carri isolati. Secondo questa ipotesi la ferrovia dovrebbe operare solo dove i costi sono economicamente sostenibili, anche se vengono mantenuti gli incentivi sia per la navigazione sul Reno sia come contributo per il rinnovo delle strutture e delle attrezzature di trasbordo, oltre a un “bonus di carico”. Secondo questa ipotesi saranno favoriti soprattutto i trasporti dove si possono conseguire elevati volumi di carico, a discapito di un’offerta più diffusa e decentrata sul territorio.
Il rischio, secondo alcuni osservatori, è quello di perdere quote di mercato per la ferrovia dell’ordine di cinque o sei punti percentuali. L’impegno finanziario per la Confederazione con la seconda variante sarà però nettamente inferiore, in quanto sarà di poco superiore ai 120 milioni di euro, un quinto rispetto alla prima opzione. Il Consiglio Federale ha subito avviato una procedura di consultazione sulle due varianti con tutti i soggetti interessati che durerà fino alla fine di febbraio 2023. Dopo di che, spetterà alla politica disegnare il futuro delle ferrovie merci nel Paese europeo dove i trasporti su rotaia detengono la quota più robusta rispetto all’insieme di tutte le altre modalità.
Piermario Curti Sacchi