Incentivi e semplificazione normativa. È su questi due binari principali che vanno costruite le condizioni per rilanciare il trasporto ferroviario merci in Italia. Un’analisi articolata dei punti di forza ma anche delle debolezze del settore è contenuta in un documento di sintesi, il Position Paper per una nuova cura del ferro messo a punto e proposto da FerMerci, l’associazione che raccoglie l’adesione dei principali operatori del settore. Il documento è nato dopo un approfondito scambio di impressioni tra i protagonisti del mercato ed è indirizzato sia a Rfi, il gestore della rete ferroviaria, sia soprattutto a quelli che vengono individuati come i decisori politici.
I numeri parlano chiaro. Il rilancio del traffico ferroviario merci negli ultimi anni è stato possibile grazie al ferrobonus. La misura è stata prorogata fino al 2026 con il Decreto Rilancio ma con un importo di spesa minimo, per gli anni dal 2023 in avanti, di circa 20 milioni di euro l’anno. FerMerci chiede che il sostegno, da rendere stabile, ammonti ad almeno 50 milioni di euro l’anno. Perché il provvedimento abbia piena efficacia occorre però avviare il ferrobonus anche per l’ultimo miglio ferroviario e portuale, come compensazione per i costi generati da quelli che vengono definiti i colli di bottiglia presenti sull’infrastruttura ferroviaria nell’ultimo miglio e nelle operazioni di manovra.
Incentivi per locomotori e materiale rotabile. Il Pnrr prevede un contributo complessivo di 115 milioni di euro per l’acquisto di nuovo materiale, ma secondo FerMerci servirebbero 500 milioni di euro per promuovere da un lato un completo svecchiamento del parco esistente e dall’altro favorire l’acquisto di soluzioni innovative che favoriscono l’intermodalità. Accanto a questi contributi si apre anche il capitolo legato alla migrazione verso il sistema di segnalamento europeo Ertms/Etcs. Rfi ha predisposto un piano accelerato che dovrà concludersi entro il 2035, ma questo obbliga le imprese ferroviarie ad adeguare i propri locomotori al nuovo standard, con oneri rilevanti, ma di fatto senza benefici, perché i vantaggi vanno tutti a favore del gestore della rete. Da qui l’esigenza di poter contare su sussidi economici, insieme a una semplificazione delle procedure di autorizzazione.
C’è poi da far fronte a quella che si è rivelata una vera a propria bomba scoppiata quasi all’improvviso, l’aumento del costo esponenziale dell’energia elettrica per la trazione ferroviaria. Tra il 2020 e il 2022 l’incremento del prezzo è stato del 517%. Il Decreto Aiuti prevede una riduzione del pedaggio fino al 50% con scadenza, per ora, il 31 dicembre 2022. Ma questo contributo copre solo il 20% del pedaggio, quindi del tutto insufficiente.
Ecco quindi il nodo legato all’infrastruttura ferroviaria. Rfi ha in corso un vasto programma di interventi che vanno comunque accelerati per raggiungere al più presto gli standard europei (treni lunghi 750 metri, massa trainata oltre le duemila tonnellate, sagoma senza limiti con profilo PC80/P410). Ma questo sta comportando un impatto notevole sulla circolazione che penalizza soprattutto i trasporti merci: nel 2023 si prevedono 1360 giorni di indisponibilità di linea e 1260 giorni di indisponibilità di binario. Queste difficoltà spingono anche verso una revisione del sistema di gestione delle tracce ferroviarie, in modo da rendere il processo molto più flessibile. Le imprese chiedono anche una semplificazione normativa, per alleggerire le procedure e condividere i documenti con la completa digitalizzazione di tutte le pratiche.
Piermario Curti Sacchi