La Commissione europea ha diffuso i dati preliminari sulla mortalità stradale nel 2024: rispetto all’anno precedente, emerge una riduzione del 3%, pari a circa 600 vittime in meno. Un segnale positivo ma ritenuto ancora insufficiente e, soprattutto, il percorso verso l’obiettivo dell’Unione Europea – dimezzare le morti su strada entro il 2030 – appare ancora troppo lento e disomogeneo tra i diversi Stati membri.
La media europea nasconde infatti differenze marcate: se da un lato paesi come Bulgaria, Danimarca, Lituania, Polonia e Slovenia sembrano in linea con l’obiettivo fissato per la fine del decennio, altri mostrano progressi modesti o addirittura un peggioramento. È il caso, ad esempio, dell’Irlanda e dell’Estonia, dove il numero di decessi è aumentato, pur considerando le fluttuazioni tipiche dei Paesi con popolazione ridotta.
In Italia, così come in Grecia, Spagna e Francia, i miglioramenti sono stati minimi negli ultimi cinque anni. Spicca invece la Romania, che ha registrato un calo del 21% dei decessi dal 2019: un risultato importante, ma che non basta a farle abbandonare il primato negativo del tasso di mortalità stradale più elevato dell’UE, con 77 vittime per milione di abitanti. Il confronto tra i paesi dell’Unione vede ancora la Svezia (20 morti per milione di abitanti) e la Danimarca (24) ai vertici della sicurezza stradale. All’estremo opposto, oltre alla già citata Romania, c’è la Bulgaria con 74 decessi per milione. La media dell’UE si attesta a 44.
Tra il 2019 e il 2023, sono state registrate circa mille vittime in meno tra gli occupanti di automobili e 900 tra i pedoni. Meno importanti sono le riduzioni tra motociclisti e ciclisti: in entrambi i casi, il calo si è fermato sotto le 100 unità. A questi dati si aggiungono le stime sui feriti gravi: per ogni decesso, si contano almeno cinque persone con lesioni serie, ovvero circa 100mila ogni anno. I dati delle forze dell’ordine suggeriscono che anche gli infortuni gravi sono in calo, ma con andamenti molto variabili tra Stato e Stato.
Il quadro cambia anche a seconda delle aree: le strade rurali si confermano le più pericolose, con il 52% delle vittime totali, contro il 38% delle aree urbane e il 9% delle autostrade. Gli uomini rappresentano il 77% dei decessi stradali, mentre gli anziani (oltre 65 anni), pur costituendo solo il 21% della popolazione, incidono per il 31% delle vittime, in aumento rispetto al 28% del 2019. I giovani tra i 18 e i 24 anni, invece, sono coinvolti nel 12% dei decessi, a fronte del 7% della popolazione. Guardando ai veicoli coinvolti, il 44% delle vittime erano automobilisti o passeggeri, seguiti da utenti di motoveicoli (20%), pedoni (18%) e ciclisti (10%).
Nelle aree urbane, gli utenti vulnerabili — pedoni, ciclisti, conducenti di motoveicoli e dispositivi di mobilità personale — rappresentano quasi il 70% delle vittime totali. In gran parte dei casi, i decessi avvengono in scontri con automobili o veicoli pesanti, sottolineando l’urgenza di proteggere meglio queste categorie. Preoccupante è il rischio legato ai motoveicoli: il numero di chilometri percorsi dai passeggeri in auto è fino a 35 volte superiore a quello dei motoveicoli, eppure il tasso di mortalità rimane molto alto per questi ultimi.
"Una riduzione del 3% è un passo nella giusta direzione, ma non basta. Troppe vite vengono ancora perse sulle nostre strade ogni anno" ha dichiarato Apostolos Tzitzikostas, Commissario per il Trasporto Sostenibile e il Turismo. "Dobbiamo accelerare gli sforzi per migliorare la sicurezza stradale, in particolare per gli utenti vulnerabili e nelle aree a maggior rischio come le strade rurali. Ogni morte è una di troppo, e restiamo determinati a raggiungere il nostro obiettivo Vision Zero".