Quello di Genova è il secondo grande ponte progettato dall'ingegner Riccardo Morandi a crollare: il primo fu il Ponte General Rafael Urdaneta di Macaraibo, in Venezuela, che dopo l'urto di una petroliera contro due pile precipitò nella laguna per la lunghezza di tre campate. Me se quello venezuelano fu un disastro causato da un violento urto, quello genovese è probabilmente un cedimento strutturale che in parte è stato annunciato da alcune analisi critiche svolte dopo la sua inaugurazione, avvenuta nel 1967.
La più recente analisi strutturale critica è stata stilata dall'ingegner Antonio Brenchic ed è stata pubblicata dal giornale ingegneri.info nel luglio del 2016. Dopo aver ripercorso la storia del ponte, l'ingegner Brenich scrive che "il Viadotto Morandi ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l'aumento dei costi di costruzione preventivati, è necessario ricordare un'erronea valutazione degli effetti differiti (viscosità) del calcestruzzo che ha prodotto un piano viario non orizzontale. Ancora nei primi anni '80 chi percorreva il viadotto era costretto a fastidiosi alti-e-bassi dovuti a spostamenti differiti delle strutture dell'impalcato diversi da quelli previsti in fase progettuale. Solo ripetute correzioni di livelletta hanno condotto il piano viario nelle attuali accettabili condizioni di semi-orizzontalità".
L'ingegnere ricorda anche che all'inizio del nuovo millennio il ponte ha subito "imponenti lavori di manutenzione straordinaria, tra cui la sostituzione dei cavi di sospensione a cavallo della fine anni '80 primi anni '90, con nuovi cavi affiancati agli stralli originari". La principale critica strutturale riguarda la precompressione degli stralli, "idea chiaramente discutibile in quanto gli stralli sono elementi strutturali così snelli da consentire una precompressione molto modesta e, quindi, destinata inevitabilmente ad avere scarsa efficacia. I lavori di sostituzione degli stralli, effettuati sia a Genova che in Venezuela, ne danno dimostrazione indiscutibile".
L'ingegner Brenich afferma anche che il crollo di Maracaibo avrebbe dovuto essere un campanello d'allarme: "come per Maracaibo l'incidente navale non era stato preso in debita considerazione, dalla lettura del ponte genovese, riconducibile a travi appoggiate, l'azione sismica di una certa intensità pare non essere stata adeguatamente considerata".
A fronte di queste dichiarazioni, due anni fa l'ingegnere sosteneva addirittura la ricostruzione del ponte: "la riflessione oggettiva a cui si giunge, alla luce della vita utile che dovrebbe avere una struttura del genere (almeno 100 anni) è che fin dai primi decenni il ponte è stato oggetto di manutenzioni profonde (fessurazione e degrado del calcestruzzo, nonché crepe dell'impalcato) con costi continui che fanno prevedere che tra non molti anni i costi di manutenzione supereranno i costi di ricostruzione del ponte: a quel punto sarà giunto il momento di demolire il ponte e ricostruirlo". Il disastro di oggi dimostra che l'ingegner Brenich aveva ragione.
Il ponte Morandi è stato costruito dal 1963 al 1967 dalla società Ponte delle Condotte con una struttura mista: cemento armato precompresso per l'impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile. Aveva una lunghezza complessiva di 1182 metri e la campata maggiore era lunga 210 metri. Le pile, alte 90 metri, avevano una struttura a cavalletto rovesciato bilanciato e il ponte aveva stralli con trefoli in acciaio rivestiti di calcestruzzo.
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