A due anni e mezzo dal crollo del ponte Morandi, ossia il viadotto Polcevera dell’autostrada A10, la procura di Genova ha chiuso l’indagine sulle cause e sulle responsabilità. È stata un’inchiesta lunga e complessa, che ha coinvolto numerose persone e due società, Autostrade per l’Italia che gestisce l’autostrada e la sua controllata Spea, cui è affidata la manutenzione. Ricordiamo che il crollo improvviso del ponte, avvenuto il 14 agosto 2018, ha causato la morte di 43 persone che lo percorrevano e la sua ricostruzione ha imposto il trasferimento di centinaia di persone che abitavano gli edifici sottostanti al viadotto. Il 21 aprile 2021, la Guardia di Finanza ha notificato avvisi a sessantanove indagati e alle due società coinvolte.
Dai documenti dell'indagine emergono gravissime mancanze nei controlli e nella manutenzione del ponte. I pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno scrivono che dall'inaugurazione del ponte, avvenuta nel 1967, non è mai stato eseguito alcun intervento di rinforzo sugli stralli della pila 9, una di quelle crollate. Ma è la manutenzione dell’intero ponte a essere sotto accusa: “Nei 36 anni e otto mesi intercorsi tra il 1982 e il crollo, gli interventi di natura strutturale eseguiti sull'intero viadotto Polcevera avevano avuto un costo complessivo di 24.578.604 euro". Ma il 98% di tale somma è stata spesa quando l’autostrada era controllata dall’ente pubblico Iri e solo il 2% da quando è passato alla gestione privata di Autostrade per l'Italia, precisano gli inquirenti. Ciò significa che “la spesa media annua del concessionario pubblico era stata di 1.338.359 euro (3665 al giorno), quella del concessionario privato di 26.149 euro (71 al giorno)".
L’inchiesta mostra che già nel 1991 Autostrade per l’Italia sapeva che la pila 9 aveva gravi problemi, come "due trefoli lenti e due cavi scoperti su quattro". Ma dopo avere segnalato questo fatto, l’unico controllo visivo è stato svolto sulla pila 9 solamente nell’ottobre del 2015 e in modo insufficiente, per gli inquirenti, perché attuato “sui soli stralli lato mare e soltanto in orario notturno; la conseguente relazione evidenziava chiarissimi segnali d'allarme sulle condizioni degli stralli, accertando che tutti i trefoli che era stato possibile esaminare tramite i carotaggi risultavano 'scarsamente tesati' e 'si muovevano con facilità facendo leva con uno scalpello'".
I magistrati affermano che la Spea avrebbe svolto la sorveglianza e l’ispezione in modo non conforme alle norme. Per esempio, le ispezioni visive degli stalli del ponte Morandi erano attuate dal basso con binocoli o cannocchiali invece di essere “a distanza di braccio”. Uno dei problemi è che la Spea era “inevitabilmente condizionata, nello svolgimento delle sue attività, da quel rapporto di dipendenza societaria, economica e contrattuale, tanto da attenuare e ammorbidire sistematicamente i contenuti delle proprie relazioni in modo da renderle gradite alla committente, sottovalutando la rilevanza dei difetti e delle criticità accertate".
Le accuse per gli indagati sono, a vario titolo, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo, omicidio colposo e omicidio stradale e rimozione dolosa di dispositivi per la sicurezza dei posti di lavoro. Dall’inchiesta principale sul Morandi ne sono nate altre per verificare i controlli e la manutenzione di altri viadotti e gallerie, dalle quali la procura ha aperto fascicoli su falsi rapporti su alcune opere, su barriere fonoassorbenti pericolose e sullo stato di alcune gallerie. In quest’ultimo caso le indagini sono state approfondite dopo il crollo della copertura della volta della galleria Berté, avvenuto il 30 dicembre 2019.