Non poteva esserci, almeno a livello linguistico, legame più azzeccato tra la Via della Seta e l'origine di questa fibra che si deve al baco, vale a dire un bruco appartenente alla famiglia Bombyx. Via della Seta e BRUCO (in questo caso con le lettere maiuscole) si ritrovano insieme nel porto di Genova. Diciamo subito che BRUCO sta per Bi-level Rail Underpass for Containers Operations. Un nome suggestivo e, con il senno di poi, quasi profetico se messo in relazione alla Via della Seta, che contraddistingue un progetto visionario per rivoluzionare la logistica del porto genovese. L'aveva proposto l'armatore Bruno Musso già nel 2007 e ora questo progetto riveduto e aggiornato è tornato d'attualità sulla spinta dei nuovi scenari internazionali, con la Cina che cerca sbocchi e nuovi corridoi merci nei porti del Mediterraneo.
BRUCO non è un progetto che lascia indifferenti ed è di quelle soluzioni destinate a suscitare entusiasmi come all'opposto freddezza per non dire manifesta contrarietà. In sintesi si tratterebbe di realizzare un tunnel largo 11 metri e lungo 38 km a doppio senso di circolazione dove convogli elettrici automatici, quindi senza macchinisti, possono trasportare velocemente i container con origine/destinazione il porto di Genova con il suo entroterra dove verrebbe realizzata una grande piattaforma logistica, un vero e proprio retroporto. Questo progetto non va confuso con il Terzo Valico ferroviario in fase avanzata di costruzione, così come non sarebbe neppure un suo concorrente diretto, perché secondo i proponenti si tratta di due opere destinate a traffici diversi.
Il BRUCO ha diversi padri, tra i quali il Politecnico di Torino, la Compagnia di San Paolo e alcuni imprenditori genovesi con a capo Bruno Musso, presidente del gruppo Grendi. Le grandi navi da 20mila teu per essere economicamente convenienti richiedono efficienti e veloci operazioni di carico e scarico, banchine adeguate, almeno 500 ettari di spazio portuale, tremila ettari di spazio logistico limitrofo e un'adeguata capacità di deflusso stradale e ferroviario. Tutte cose che a Genova appaiono come un miraggio, dove siamo nell'ordine dei 200 ettari o poco più. Ma se si vuole fare concorrenza ai porti del Nord Europa dove gli spazi, grazie alla conformazione pianeggiante dell'entroterra, raggiungono anche i 10mila ettari (ma sfavoriti dai fondali), c'è poco da fare: occorre prevedere un retroporto dove è fattibile realizzarlo, all'interno, verso la pianura padana e precisamente nell'area di Novi Ligure. Ma se in prospettiva si pensa di movimentare oltre 20mila teu al giorno, osserva Musso, per smaltire il traffico occorrerebbero venti treni o 600 trailer all'ora, una cosa improponibile per l'attuale capacità. Da qui l'idea di realizzare una sorta di ferrovia automatica, una specie di nastro trasportatore continuo tra Genova e precisamente Voltri e la grande piattaforma retroportuale con una potenzialità teorica fino a 10 milioni di teu l'anno.
Il costo del progetto è stimato in due miliardi di euro, ma secondo i proponenti i finanziamenti sarebbero un problema tutto sommato secondario, perché di fatto l'iniziativa si autosostiene anche senza l'intervento di fondi pubblici. Si calcola un risparmio di trasporto di 40-50 euro a container (e già con questa cifra si sostiene il 50% del costo dell'opera), oltre ad altri 500 dollari a container di minor nolo marittimo senza andare in Nord Europa, oltre a 5-6 giorni di navigazione.
Il BRUCO andrebbe di pari passo con l'allargamento del porto di Voltri con ampi fondali e una nuova diga foranea. Sulla carta l'idea resta visionaria e coraggiosa ma fattibile, oltre a ricevere un nuovo impulso dagli scenari attuali costruiti sulla Via della Seta. Resta però un'incognita. Anche se non sono previsti né richiesti finanziamenti pubblici, l'ultima parola spetta alla politica, nazionale e locale. Che ha logiche e tempi difficilmente compatibili con quelli in cui il bruco esce dal suo bozzolo.
Piermario Curti Sacchi
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